INTRODUZIONE.
Quando ci troviamo davanti a personaggi di questo calibro, limitarsi a raccontare semplicemente le avventure della loro vita può sembrare diminutivo.
Quello che sarebbe interessante fare è cercare di entrare nella psicologia che avvolge casi incredibilmente eccezionali come questo e capire cosa li caratterizza nella loro sfera privata, cosa li porti ad essere quelli che realmente sono, divenendo prima icone di fama mondiale e finendo per poi essere ricordati in una delle pagine di sport più nostalgiche di sempre.
Velibor Milutinović , meglio conosciuto con lo pseudonimo di Bora può di gran lunga esser considerato un cittadino del mondo se analizziamo quello che è stato il suo profilo da C.t . Ha giocato ed allenato in 14 paesi del globo , solo l’Oceania resta l’unico angolo remoto del Pianeta dove Bora non ha coltivato nessuna esperienza. Parla ben 5 lingue : serbo, inglese,spagnolo,francese, italiano , qualche parola in russo e in mandarino .Un uomo nel quale si fondono molteplici culture , che ha fatto della propria vita un romanzo di avventura , un libro di viaggi con tante pagine da raccontare.
Il francese Morand scriveva:
‘’Viaggiare è essere infedeli. Siatelo senza rimorsi. Dimenticate i vostri amici per degli sconosciuti’’;
E chi meglio di Bora ha rimasticato e fatto sua questa massima venata di cinismo, guardandosi bene dal voltarsi indietro e rimuginare sul passato, versando magari lacrime amare su ciò che non è stato e invece poteva essere?
VITA E PRIMI PASSI NEL CALCIO.
Milutinović nasce a Bajina Basta una piccola cittadina di montagna ai confini tra Serbia e Bosnia Erzegovina.
“Non ho mai conosciuto mio padre Orzad, caduto durante la Seconda Guerra Mondiale, combattendo per i partigiani di Tito. Un anno dopo è morta anche mia madre Darinka, se la portò via la tubercolosi.”
Cresciuto con la sorella Milena e i fratelli Miloš e Milorad iniziò a viaggiare sin da piccolo trasferendosi ad abitare dagli zii a Bor , un piccolo paese a 40 km dal confine tra Bulgaria e Romania.
Quando ero bambino, ogni 29 novembre, festa della Repubblica, vestivo il foulard rosso e la Titovka, il cappellino blu, e sfilavo con i Pionieri di Tito. Bei tempi, la Jugoslavia era un paese unito e orgoglioso. L’infanzia l’ho trascorsa giocando a scacchi e a calcio per strada.
Il calcio si conferma una delle sue più grandi passioni fin da piccolo. Prima di scegliere il destino da allenatore giramondo, Bora era un centrocampista. Un buon centrocampista, che, grazie al suo dono con il pallone tra i piedi, può lasciare la sua terra e iniziare a fare quello che gli piace davvero.
“Giocavo mediano, dei tre ero il meno talentuoso, ma ho comunque giocato in nazionale Under-18…”
Come i fratelli , cresce nel Partizan di Belgrado, partecipando a quello che è uno dei tornei giovanili internazionali più importanti di Europa : il celebre torneo di Viareggio.
“Come Miloš e Milorad, anch’io sono cresciuto nel Partizan e una delle mie prime esperienze all’estero fu il torneo di Viareggio, dove ho giocato contro il Milan di un certo Giovanni Trapattoni.”
La vetrina che la maggiore espressione del calcio serbo gli concederà suscita ben presto gli interessi del Fussball club Winterthur di Zurigo. Intorno alla metà degli anni Sessanta decide per tanto di lasciare la Jugoslavia per la Svizzera. Lui stesso è del tutto inconsapevole sul fatto che nella sua terra natale non vi tornerà più. Successivamente onorerà i colori di Monaco, Rouen e Nizza prima di intraprendere una decisione spiazzante: non sentendosi ancora pronto per appendere gli scarpini al chiodo sceglie come ultimo giro di giostra il calcisticamente insolito Centro America, precisamente Città del Messico. Nella Ciudad, oltre a vestire la casacca dei gloriosi Pumas, Bora troverà l’altro grande amore della sua vita e il solo dal quale non ha tentato di smarcarsi: una donna, messicana e benestante, con cui in breve tempo deciderà di unirsi in un destino comune.
DA GIOCATORE A CITTADINO DEL MONDO.
Col terminare della sua attività da atleta, Milutinović decide di intraprendere il percorso che lo ha reso il ” cittadino del mondo” che oggi conosciamo. Una valigia sempre pronta, da una panchina all’altra a giro per il mondo . Un’avventura sempre nuova da intraprendere e un mucchio di sogni nel cassetto da realizzare. Un eterno viaggiatore mai stanco della sua professione.
Nel 1983 ,dopo aver precedentemente guidato il club dei Pumas (nel quale aveva militato come giocatore) approda alla guida della selezione Nazionale. Agli albori degli anni ottanta il Messico non è ancora il paese calcio-centrico che è ormai presenza fissa nelle competizioni internazionali da oltre tre decadi, né tanto meno quella fucina di talenti da cui hanno spiccato il volo Cuauhtémoc Blanco , Dos Santos o il Chicharito Hernandez; è il Mondiale del 1986 e si gioca ancora tra i confini amici.
L’attesa attorno ai messicani si capta nell’aria e a confermarlo sono i 110.000 cuori palpitanti all’unisono nel leggendario Azteca, teatro della gara d’esordio tra Messico e Belgio. I ragazzi di Bora non deludono le aspettative, imponendosi con un meritato 2 a 1. Complici anche le avversarie di non elevatissima caratura (Paraguay e Iraq le altre due contenders) il superamento del girone è un gioco da principianti.Negli Ottavi a cedere sotto la spinta di un intero popolo è la Bulgaria, che in questa edizione sta mettendo le basi per l’exploit impronosticabile di Usa ’94. Alla primissima esperienza, la ventata di passione che il serbo porta con sé è già sinonimo di successo: il Messico torna ai quarti di finale. A fermarne purtroppo la corsa arriva la più esperta, quadrata e blasonata Germania, capace poi di giungere sino in finale. La disputa si gioca sul filo dell’incertezza e a condannare i padroni di casa sono i tiri dagli undici metri. Si tratta d’una battuta d’arresto dal sapore dolce.Il CT lascia il Messico da eroe, per accettare l’incarico di due squadre di club: San Lorenzo prima, Udinese poi.Saranno però due parentesi poco significative , quasi fossero due ostacoli alla sua eterna ricerca dell’insolito.
SI VOLA IN COSTA RICA.
Valige pronte. Questa volta la destinazione è ancor più atipica. A richiedere le attenzioni di Bora è un’isola ispanica del centro america: Il Costa Rica. Fin dalle prime dichiarazioni Pre-esordio Mondiale ( Italia’90) Bora dimostra di credere fortemente in questo gruppo arrivando ad esaltare le enormi chance dei suoi di passare il turno.
Nell’incredulità più totale, i costaricani superano prima la Scozia , poi la Svezia candidandosi di diritto a sorpresa della manifestazione. Milutinović non pare per nulla sorpreso, anzi minimizza sfoderando il suo classico sorriso placido; d’altronde, per chi è nato per le imprese semi-impossibili, portare ventidue ragazzi che credono ciecamente nelle strategie del proprio mentore agli ottavi di Finale di un Campionato del Mondo, è cosa da poco.L’ostacolo successivo si chiama Cecoslovacchia, compagine dalla tradizione ormai consolidata: non bastano però l’entusiasmo della nazione più felice del globo a fermare l’avanzata di Skuhravy e compagni, che passeggiano con nonchalance sui centroamericani. L’avventura spensierata finisce con l’insperato traguardo delle top 16; ancora una volta Milutinović è salutato al rientro come una sorta di santone salvifico.
Il mondo comincia a notarlo, la figura carismatica proveniente da Bajina Basta ha dimostrato di saperci fare , tant’è che sono gli Stati Uniti a volerlo come timoniere in vista della successiva edizione ospitata proprio dagli yankee.
NELLA TERRA DI COLOMBO.
In una terra poco avvezza al pallone di cuoio la massima aspirazione è superare le colonne d’Ercole delle fasi a gironi; anche questa volta, il nostro eroe centra l’obbiettivo, strappando la qualificazione per il rotto della cuffia in virtù di una buona differenza reti nel confronto tra le terze classificate. Gli States saranno eliminati ai quarti di finale contro un Brasile più cinico e determinato che andrà a segno con la stella Bebeto. Nonostante l’eliminazione dal torneo, Bora raccoglie comunque i grossi meriti di aver contribuito a gettare le basi per la diffusione del soccer rendendolo uno sport in via d’espansione all’interno dei confini statunitensi, visto che nell’era pre-mondiale Stati uniti e calcio non sono mai andati cosi d’accordo.
UNA TERRA PIENA DI MONDO.
Terminata l’avventura a stelle e strisce, neanche il tempo di fare i bagagli ed arriva la chiamata dal continente Nero. Ad alzare la cornetta è la Nigeria. Il materiale che il nuovo coach da un giorno all’altro si trova tra le mani ha impresso a lettere cubitali ‘’maneggiare con cura’’: un gruppo di ragazzi ancora da formare caratterialmente parlando ma se ben amalgamati, avrebbe le potenzialità per sovvertire le gerarchie, portando la scuola africana sul tetto del mondo.I nomi in rosa sono incredibili Babayaro, Babangida, Finidi, senza trascurare Kanu, Taribo West e il funambolico Jay-Jay Okocha.
C’è bisogno però dell’esperta mano di un traghettatore rodato, di un inflessibile maestro che prenda per mano queste potenziali stelle e le faccia marciare verso un unico obbiettivo. A Francia ’98 le cose iniziano nel migliore dei modi; nella gara d’esordio le Aquile piegano la Spagna 3-2 in una gara rocambolesca all’insegna dello spettacolo e si ripetono con la Bulgaria, stavolta di misura con un semplice 1 a 0. La sconfitta col Paraguay , resta ininfluente ai fini della qualificazione dei Nigeriani.
Al turno successivo purtroppo le speranze e i sogni delle Super Aquile si infrangeranno nel muro Danese. Quello che è mancato alla nazionale africana non sono stati i mezzi fisici o tecnici ma bensì l’equilibrio tra i reparti e la scarsa inesperienza davanti agli appuntamenti di spessore. Dopo la prima frazione terminata con gli Scandinavi avanti per 2-0 ,nella ripresa i danesi dilagano. Una rete da cineteca di Sand e il poker calato dal futuro milanista Helveg, contribuiscono a render ancor più ampio il divario. L’entusiasmo di un gruppo di ragazzi salvato grazie al calcio. Da un’esistenza soffocata dagli stenti, la voglia di regalare alla propria gente alcune briciole di un riscatto ancora troppo lontano non bastano: la Nigeria è eliminata. Fine della corsa.
VERSO LA MURAGLIA CINESE E OLTRE.
Valige di nuovo pronte. Il paradosso del paese più popoloso del Mondo, con ben quasi un miliardo e mezzo di abitanti, è la totale estraneità al gioco del calcio. Il livello della rosa, pressoché inferiore a quello dei campionati dilettantistici di mezza Europa, non lascia presagire nient’altro se non qualche sgambata ai limiti del ridicolo.Destinazione Cina.
Ai calciatori cinesi mancano le basi di tattica e tecnica, Bora lavora a fondo, organizzando decine di amichevoli contro nazionali di blasone.Guidare la Cina ai Mondiali sembra una missione impossibile. Quando gli chiedono le possibilità di qualificazione, Bora risponde che su 40 nazioni asiatiche, almeno 10 sono meglio della Cina ma lui avrebbe comunque ottenuto uno dei due posti disponibili. La prima fase di qualificazione fila via liscia, anche per la debolezza delle avversarie (Cambogia, Indonesia e Maldive). Milutinovic non capisce il cinese e forse è meglio così, visto che viene duramente contestato durante una partita casalinga contro la Cambogia, sconfitta “solo” 3-1. Il secondo e ultimo turno mette di fronte i cinesi ad avversarie più insidiose: Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar e Uzbekistan.Il cammino degli uomini di Bora è un trionfo: 6 vittorie, 1 pareggio e 1 sconfitta, nell’ultima e ininfluente gara in Uzbekistan. Il 7 ottobre 2001 la Cina si qualifica aritmeticamente ai Mondiali (la prima ed ultima per la Repubblica Popolare Cinese) e quel giorno mezzo miliardo di persone guarda la partita alla TV, superando di quattro volte l’audience del Super Bowl.
Bora è diventato un eroe nazionale, i tifosi acclamano il suo nome “Milù”, vista l’impossibilità di pronunciare la erre. Ogni uscita pubblica è un bagno di folla, nel febbraio 2002 visita la Grande Muraglia cinese assieme a Pelè; Bora approfitta della popolarità per arrotondare. Sponsorizza un po’ di tutto: bevande energetiche, lettori DVD, condizionatori d’aria, liquori di riso, scrive persino un’autobiografia “Zero Distance”, diventato un best-seller. In Cina la febbre Mondiale è alle stelle, in molti credono alla vittoria del Mondiale.
La manifestazione sarà invece solo un’inusuale passerella, con le tre sconfitte, le nove reti subite senza realizzarne nemmeno una; ma, fatto assolutamente atipico nella conservatrice cultura asiatica, a rimanere impressa negli annali del calcio, sarà per sempre il nome di quello strano europeo.
IL PROFESSORE CHE INSEGNAVA AL MONDO.
Altre genti e culture hanno negli anni avuto la fortuna di servirsi del suo sapere e, viceversa, a lasciarsi studiare e compenetrare dall’antropologo della panchina. Sì, perché da una figura simile, si prende e al contempo si dona un pezzo del proprio patrimonio, della propria essenza. Honduras, Giamaica e infine Iraq, le ultime tappe dove ha continuato il lavoro di una vita.
Non è mai facile porre dei limiti a persone cosi, altrettanto difficile quindi dire se il viaggio di Bora , il suo eterno peregrinare troverà mai una destinazione definitiva. Il cittadino del mondo che ha insegnato calcio a mezzo globo impugna di nuovo la sua valigia piena di ricordi pronto a ripartire. In attesa di un nuova avventura , di un nuovo viaggio da intraprendere ,nuove culture da conoscere e nuovi orizzonti da scoprire. Perché Cittadini del mondo si nasce , non si diventa.