Il Senegal ai mondiali del 2002 è stato l’emblema di un calcio che si fonda sull’umiltà di chi ancora crede in questo sport come puro divertimento. Calcare un manto erboso prendendo a calci un pallone con spensieratezza , istinto ,allegria e tanta voglia di mettersi in gioco con le grandi. Ripercorrendo storie come questa , mi viene semplicemente da pensare : “Allora forse i miracoli esistono davvero”.
Ci sono storie incredibili che navigano in mari aperti, altre semplicemente nate in luoghi o nazioni confinate in angoli remoti del globo. Ci sono miracoli che si compiono in mezzo al deserto, tra la povertà e la malattia. Ci sono avventure pressoché indimenticabili, trascorse inseguendo un sogno proibito. Laddove l’impossibile diventa possibile e solo il cuore conosce a memoria le mappe che hanno condotto a quelle destinazioni.
Il Mondiale nippo-coreano del 2002 rivela grosse sorprese fin dal sorteggio dei gironi. Cina , Senegal , Costa Rica e Slovenia sono le nuove matricole che portano nuovo entusiasmo alla competizione. Nessuno però può immaginare che una di queste segnerà indelebilmente le pagine di quell’edizione mondiale, dando un enorme schiaffo al calcio dei tatticismi.
Dal vecchio al nuovo Senegal
Il mondiale del Senegal simboleggia un “rivoluzionario” modo di concepire questo sport, votato esclusivamente al divertimento. Prima del 2002 il calcio in Senegal ha stentato a decollare, soprattutto a causa di un precario sistema organizzativo e di strutture poco adeguate. Le maggiori responsabilità sono di una federazione senza soldi né idee e di un CT, il tedesco Peter Schnittger, che, adottando metodi di insegnamento troppo drastici, aveva gradualmente assistito ad una vera e propria diaspora dei migliori “Leoni”. Gesta severe, cura massima del look e un calcio soffocato dagli eccessivi tatticismi, portarono solo ad un malessere collettivo.
Il 2002, sancisce l’anno della svolta. Come commissario tecnico viene nominato un francese : Bruno Metsu. L’ex allenatore della Guinea sembra quasi una buffa caricatura, appena uscita da un manga giapponese. Si definisce “un bianco col cuore da nero”, eterno amante della sfera che rotola incerta sui campetti di periferia di tutto il mondo.
La sua mentalità aperta conduce ad importanti cambiamenti. Lui, uomo di mondo semplice e pure un bel po’ ruffiano, intuisce che con certi personaggi sarebbe stato meglio fare il compagnone più che il CT.
“Non avevamo bisogno di un poliziotto bensì di uno come noi. Di uno che desse consigli, non ordini; che sapesse motivarci.”
Metsu si cala al volo nel ruolo. Impara a parlare il wolof, sposa una senegalese, si converte all’Islam e, con una buona dose di pragmatismo trasforma una nazionale “spenta” in una grande famiglia.
Da qui ha inizio il suo lungo cammino, che lo porterà ben presto ad esser etichettato come “il Profeta”. I Lions de la Teranga cominciano a vincere ripetutamente consolidando il gruppo: qualificazione al Mondiale, finale di Coppa d’Africa persa soltanto ai rigori contro il Camerun, e poi lo storico ingresso nei quarti del Mondiale.
Ciò che veramente lo rendeva amato da tutti era la sua enorme disponibilità e la sua grande dose di naturalezza.
Durante l’intero ritiro mondiale aveva pensato bene di lasciare libero il passaggio all’interno dell’albergo a parenti, mogli e amici. Si sentiva fratello di quella grande famiglia e figlio del continente africano. Niente catene, nessun vincolo, ma solo un modo semplice per responsabilizzare i suoi atleti.
Davide contro Golia
Parte il mondiale e gli africani trovano all’esordio la potenza francese. Sembra uno scontro ai limiti dell’utopia, paragonabile alla leggenda di Davide contro Golia. Il calcio pieno di fama, ricchezza e potere da un lato, un’allegra e folkloristica combriccola di ragazzotti dall’altro.
Il palo colpito da Trezeguet sembra presagire tristi sventure per i giovanotti africani. Poi, improvvisamente, il gigante si rilassa. La matricola ne approfitta e sferra il colpo, andando incredibilmente in vantaggio. Il marcatore è Papa Bouba Diop. Mentre il mondo resta annichilito, i ragazzi improvvisano una strana danza attorno alla maglia. Uno di quei balli africani tipici de ” le petit village” che di solito si praticano a piedi nudi, in una di quelle terre invase da superstizioni e sofferenze, mentre il cuore viaggia alla ricerca di una speranza. Al sopraggiungere del triplice fischio, davanti allo stupore generale, il tabellone segna Golia 0 – Davide 1.
E’ l’inizio più incredibile nella storia di una competizione mondiale. Da quel momento il globo si innamorerà perdutamente di quei ragazzi. Henri Camara, El Hadji Diouf, Papa Bouba Diop e il loro storico capitano Aliou Cissé. Una nazionale sempre in festa, rumoreggiante,con un CT , che, più che commissario tecnico, era diventato un fratello di quella famiglia allargata.
Un golden dream
Le due gare successive vedono due pareggi, rispettivamente con Danimarca e Uruguay . Entusiasmante il 3-3 con i sudamericani. Senegal avanti 3-0 dopo 38′ minuti e il pareggio firmato da un rigore di Recoba a due minuti dalla fine. Sono sufficienti 5 punti agli africani per strappare il biglietto degli ottavi .
Si vola ad Oita, in Giappone, dove ad attenderli c’è la Svezia che si è sorprendentemente imposta nel “gruppo della morte”, su Inghilterra, Argentina e Nigeria. Gli scandinavi vanno subito avanti, complice un’uscita a vuoto del portiere Sylva. Il Senegal reagisce con Henri Camara, che si inventa un gol strepitoso. Per decidere chi passerà il turno si devono attendere i supplementari. Extra time che, all’epoca, prevedevano ancora quella sadica tortura del golden gol. Come al campetto sotto casa: “Chi fa questo, vince!”
Dopo 5 minuti di supplementari,la storia sembra aver deciso che sia giunto per il Senegal il momento di salutare il mondiale, ma il tiro di Svensson si schianta incredibilmente sul palo. Al min’ 104 è un colpo da biliardo di Camara a spalancare le porte dei quarti al Senegal: un golden goal che vale il golden dream.
La nazionale africana uscirà di scena a Nagoi il 22 giugno, facendone le spese ad opera della miglior Turchia di sempre. Tra le file turche militavano campioni del calibro di Hakan Sukur, Umit Davala, Emre Belozoglu, Yildiray Bastürk, Rustu Recber.
La fine di una generazione
Di lì a qualche anno, quell’incredibile gloriosa cavalcata sarebbe diventata solo un lontano ricordo. Quella sorprendente pagina calcistica, scritta dagli eroi di quella nazionale avrebbe assistito ad una nuova diaspora dei suoi atleti più rappresentativi. Diouf, preso dal Liverpool dopo quel favoloso Mondiale , sarebbe naufragato nel suo mare di eccessi e bravate fuori e dentro il campo. Khalilou Fadiga, acquistato dall’Inter, non avrebbe mai messo piede in campo, fermato da problemi cardiaci alle visite mediche. Altri avrebbero raccolto ingaggi in piccole e medie squadre di tutta Europa. Bruno Metsu, il profeta di quella nazionale, lo ha strappato alla vita un bruttissimo cancro diagnosticatogli nell’ottobre del 2012.
Quell’estate è rimasta l’estate dei Leoni africani, I Lions de le Teranga . Ancora oggi a distanza di quasi 20 anni, pensiamo a loro: al Profeta Metsu e il suo Senegal dei Miracoli.