Il 5 luglio 1994 Zola coronava il suo sogno: esordio ai Mondiali di Calcio proprio il giorno del suo compleanno. Non aveva previsto il clamoroso abbaglio dell’arbitro Brizio, espulsione diretta e discesa negli inferi del piccolo tamburino sardo…
Si vola a Boston in un caldo ed afoso pomeriggio di luglio, correva l’anno 1994 ed al Foxboro Stadium gli azzurri guidati da Sacchi dopo aver superato il girone di qualificazione con non pochi alti e bassi (ripescati tra le migliori terze), si apprestano ad affrontare la Nigeria , una delle nazionali rivelazione del torneo.
Si perché gli africani, vantano una nazionale piena di giocatori interessanti, Amunike , Amockachi un giovanissimo Okocha ed soprattutto hanno dalla loro una condizione atletico -fisica impressionante. Dopo aver vinto la Coppa d’ Africa sono approdati al mondiale negli States come nuova matricola, ma non hanno impiegato tanto a dimostrare al mondo intero che quella squadra di “matricola” aveva ben poco. Vincono con Bulgaria e Grecia e mettono a dura prova l’Argentina ( che poi vincerà 2-1) conquistando come primi classificati l’accesso agli ottavi. Ed eccoci qua , di nuovo da dove siamo partiti: da Italia-Nigeria.
La partita sarà molto fisica ,ma la nostra attenzione non è incentrata sui 90°min di gioco, bensì si sposta al min’79 su quel volto esterrefatto ,che esplode in lacrime e su quel cuore sardo incredibilmente infranto dal messicano Brizio Carter.
Gianfranco Zola è un sardo un po’ diverso dalla sua gente, non è scontroso, non è chiuso, della sua terra ha soltanto la timidezza tipica di un’isola staccata dall’Italia, considerata per troppo tempo, e ingiustamente, una costola lontana dal corpo del paese. La presenza di Zola nel mondiale aveva riavvicinato la Sardegna all’Italia, quanto, e forse più, la presenza nei ruoli dirigenziali di un altro antico campione che in Sardegna ha conosciuto i suoi fasti, Gigi Riva.
Il mondiale di Zola era cominciato in un secondo tempo di angosciosa sofferenza. Eravamo sotto di un gol con la Nigeria, la possibilità di uscire dal mondiale era così grande e così evidente che il suo inserimento in campo era sembrato a tutti l’ultima mossa disperata. Zola era pronto, si era scaldato per qualche minuto ai bordi del campo, stava bene, si era sempre allenato per tutto il ritiro, come le altre riserve, ben sapendo che per lui sarebbe stato più difficile ritagliarsi un angolo di popolarità in quel mondiale.Del resto, era arrivato in America dopo che Sacchi aveva rinunciato (su richiesta dello stesso giocatore) a Roberto Mancini, stufo di essere considerato soltanto l’alternativa di Baggio.
Mai un lamento, mai un’osservazione fuori posto, sempre al lavoro, mettendo tanta umiltà con la grande considerazione di Gigi Riva che, alla vigilia del mondiale, lo aveva pronosticato fra le grandi sorprese. Riva, probabilmente, ci avrebbe indovinato se quel dannato Brizio non si fosse messo in mezzo. In campo, contro la Nigeria, mentre gli altri azzurri si stavano spegnendo e si profilava una grossa debacle, Zola stava conquistando spazio su spazio. Ormai sembrava l’unica salvezza, il solo appiglio, l’unico giocatore pronto a combattere fino all’ultimo istante quella battaglia incredibile. In qualche modo aveva rianimato anche Roberto Baggio, che era rimasto in campo proprio per sfruttare il genio del suo collega di fantasia. Sacchi aveva pensato a quei due per evitare la sciagura nazionale.
Cosi al min’79 il messicano Brizio Carter, nonché direttore di gara, decide la massima sanzione per l’intervento di Zola sul terzino nigeriano Eguavoen. Un arbitro maldestro, inadeguato e incompetente gli aveva sbattuto in faccia un cartellino rosso. Fuori dal campo un attimo dopo l’inizio del suo mondiale. E per cosa, poi? Per un fallo che non sembrava neppure fallo, per un intervento magari non dolcissimo ma neppure meritevole di un’ammonizione.
“Quando l’arbitro ha fischiato, ho pensato: guarda questo che fa, fischia una punizione che non esiste. Quando ha messo la mano nel taschino, ho avuto paura: e ora che combina? Mi ammonisce? E’ incredibile. Quando ho visto il cartellino rosso non ci volevo credere. Espulso? lo? E perché? No, no, non è vero, fermatelo, fermatelo“.
Proprio quel giorno , del suo esordio al mondiale e della sua espulsione, era il giorno del suo compleanno.Ventotto anni compiuti in quel modo, dalle stelle alle stalle afferma un vecchio proverbio, da una festa grandiosa a una festa sciupata.Non c’era niente che potesse consolare le lacrime di Zola .Tuttavia ci piace pensare che il sacrificio di Zola non sia stato vano. Perché la sua espulsione scatenò in qualche modo la grande reazione dell’Italia, una reazione che ci portò dall’Atlantico al Pacifico, dal Massachusetts all’assolata California, da Boston a Pasadena in quello che sarebbe stato un viaggio entusiasmante. Ferita da una così grande ingiustizia, la nazionale ritrovò la sua anima e Baggio, toccato dal genio del suo amico, riscoprì se stesso e il gol. Tutto questo succedeva mentre il piccolo Gianfranco, sorretto dal capo-delegazione Raffaele Ranucci e da uno degli uomini dell’ufficio stampa, Stefano Balducci, stava crollando in una paurosa crisi di nervi.
“La rabbia che ti resta dentro è incredibile. Non avevo mai provato niente di simile. Lasciavo la nazionale in dieci nel momento più difficile del nostro mondiale. Ho pensato anche a me, ma solo per un momento, pensavo soprattutto ai miei compagni che volevano farmi coraggio ma non avevano le parole, non avevano la forza. Vedevo i loro occhi iniettati di sangue, io ero l’uomo più fresco, potevo fare qualcosa, potevo aiutarli, e invece mi hanno strappato via.”
Aveva sperato per un attimo che i giudici della Fifa fossero comprensivi, che la pena fosse mite dopo quella ingiustizia. Ogni volta che c’è un’espulsione sono due giornate di squalifica, ma tutt’altro , i giudici non avevano sentito ragioni,due turni di squalifica anche per Zola. In compenso, avevano spedito a casa l’arbitro messicano.
Intanto la nazionale era riuscita nell’impresa e si era guadagnata l’accesso ai quarti ma l’amarezza e la delusione per quell’ espulsione restavano grandi.Come avrebbe potuto spiegare agli amici di Oliena quella sua grande delusione? Quel giorno, il 5 luglio, poteva cambiare il suo mondiale, ci stava entrando, anzi, c’era entrato, ma lo avevano sbattuto subito fuori.
Ma con grande forza, e con quel silenzio che è uno dei più antichi rifugi della sua gente, Gianfranco Zola aveva cominciato a tifare e a sperare. Bastava superare i quarti, entrare nelle prime quattro, perché in una delle due finali ci fosse anche il suo nome scritto nel referto ufficiale consegnato alla Fifa.
Il successo degli azzurri ai danni della Spagna, determinò automaticamente che la nazionale guidata da Sacchi fosse entrata nelle prime quattro nazionali del mondo, nelle file della panchina un piccoletto gioiva e saltava più degli altri .
Quel cuore infranto si era preso la sua rivincita e Zola adesso poteva finalmente spegnere le candeline di una torta che era sembrata fin dal primo boccone , forse fin troppo amara.