Tutti gli articoli di Andrea Capolli

" Writing means discovering ourselves. Every time I take the pen and put it down on the paper, I just feel I'm about to be taken on a journey through time".

Un sogno ad occhi aperti: il miracolo Calais

INTRO.

Che la Francia e i transalpini da un punto di vista storico, vantino un epopea di avvenimenti che hanno segnato fortemente la rinascita europea, è praticamente fuori discussione. Dalla Rivoluzione Francese ai fasti del Rinascimento con un rinnovamento artistico letterario che pose le basi per l’avvio di uno sviluppo e un miracolo culturale che di li a poco avrebbe invaso e influenzato numerose correnti di pensiero. Credo non sia del tutto sbagliato parlare di “Le Miracle” così, come lo chiamano i francesi perché quel periodo di fioritura contornato da attimi indimenticabili , arriva sempre, quando meno ce lo aspettiamo. Ci avvolge, stravolge e lascia dietro di sé una scia di ricordi che rievocano quel lembo del passato, dentro il quale, abbiamo percepito di aver preso parte a qualcosa di incredibilmente grandioso. Unico ed Irripetibile.

UN SOGNO A NORD.

Operai, artigiani, manovali e tante altre professioni umili unite però da un eterna passione per l’oggetto sferico, che rotola incerto nei campi di periferia. Tanti non vivono di calcio perché non sempre si riesce a sfondare, altri invece per loro decisione, perché non hanno voluto fare di questo grande amore un lavoro.

Prendete una delle città più a nord della Francia, il classico posto dove pioggia e vento sono una costante per gran parte dell’anno. Il lembo di Francia più vicino all’Inghilterra , quel fazzoletto di Europa continentale che strizza l’occhio alla Gran Bretagna: benvenuti a Calais! Una cittadina non molto grande ,ma dal cui porto ogni anno transitano milioni di persone per spostarsi oltremanica e viceversa.

Calais, la magica avventura del 2000
Festeggiamenti dei ragazzi del Calais insieme al coach Lozano, in basso a destra.

E’ in questo lembo di Europa che nel lontano 1999 si è consumato uno dei più incredibili miracoli calcistici di sempre. La cavalcata del Calais in Coppa di Francia, può esser inclusa nella cerchia di quelle imprese di periferia che in qualche modo hanno ribaltato tutti i punti saldi del calcio professionistico. Una di quelle storie del calcio di provincia che ha letteralmente inciso un ricordo indelebile nel cuore della gente. Perché cammini come questo, con un velo romantico ti entrano dentro e da li non escono più.

La favola del Calais in Coppa di Francia
La formazione del Calais in Coppa di Francia 1999/00.

LA COPPA DI FRANCIA .

Circa settemila squadre prendono parte ogni anno alla Coppa di Francia, perché qui nel paese transalpino la coppa nazionale ha un formato unico. La competizione si articola su una serie di turni di qualificazione, dove compagini dilettantistiche da ogni parte della nazione si sfidano, cullando il sogno di accedere alla fase finale con squadre professionistiche. Per molte matricole la manifestazione è una via di fuga dalla routine di paese che le caratterizza, ma soprattutto un occasione da non perdere per provare a rendere vera quella che nella quotidianità si chiama utopia.

Con questi presupposti, il Calais nel 1999, si iscrive alla Coppa di Francia. Nessuno mai avrebbe immaginato, che quel coriandolo di terra a nord della Francia, stava per scrivere una delle più incredibili pagine calcistiche di sempre.

La Francia per altro sta attraversando uno dei momenti clou per qunato riguarda il calcio. La nazionale dei galletti appena l’anno prima si è laureata campione del mondo, prevalendo sul Brasile in finale. Si sarebbe poi ripetuta l’anno successivo, conquistando anche il titolo europeo in una finale al cardiopalma, con i diretti rivali dell’Italia.

Ma poca importa al Calais, che allenati dal franco ispanico Ladislas Lozano, iniziano la loro avventura affrontando una serie di squadre praticamente sconosciute.

Calais Racing Union: The amateur team that went to Coupe de France final -  BBC Sport
Il coach del Calais , Ladislas Lozano, timoniere della matricola che scrisse la storia nella Coppa di Francia 1999/00.

Dopo la serie di risultati positivi consecutivi, l’ultimo scalino per accedere ufficialmente alla Coppa di Francia è il Dunkerque, un piccolo paesino al confine con il Belgio. Si tratta del primo impegno di un certo spessore visto e considerato che le avversarie precedenti avevano ceduto il passo senza impegnare troppo i canarini.

Il Calais però suo malgrado, chiude la pratica già nella prima frazione di gioco andando a riposo sul punteggio di 3-0. Al termine dei 90’ regolamentari il confronto si concluderà con un sonoro 4-0 che non lascerà spazio a commenti o qualsiasi tipo di obiezione.

La matricola Calais ha appena realizzato qualcosa di incredibilmente stupefacente: la partecipazione alla Coupe de France si era materializzata davanti agli occhi increduli di ogni singolo atleta dei canarini.

Quello che veniva da ora in poi era frutto di un intenso lavoro di dedizione e sacrificio, di sudore versato dopo intere giornate trascorse negli ambienti di lavoro e figli che attendevano impazienti il ritorno dei propri padri a casa. Non dimentichiamoci che il Calais era a tutti gli effetti una squadra dilettante che militava nella quarta serie francese e come già accennato nei primi paragrafi, tutti i componenti della squadra svolgevano le più svariate professioni: dal magazziniere al dirigente di traffico, a chi come il capitano trovava impiego in un semplice mobilificio.

INIZIA LA CAVALCATA.

Arrivati ai trentaduesimi di finale, l’avversario sorteggiato sono i mastini del Lille. Geograficamente vicini, ma calcisticamente lontani anni luce. Nella sua storia il Lille vanta due campionati e ben cinque coppe di Francia.

Nel 2000 giocano in seconda divisione ma comandano saldamente la classifica e sono pronti per tornare a calcare i palcoscenici che contano.

L’incontro sembra abbia un solo ed unico risultato, viste le differenze di categoria, e lo si nota fin dalle prime battute di gara quando il Lille passa in vantaggio. Il Calais non ci sta e trova clamorosamente il pareggio, opponendo poi resistenza fino ai tiri dal dischetto ,che sanciranno a sorpresa il passaggio degli uomini di Lozano ai sedicesimi.

Foot : Calais, finaliste de la Coupe de France en 2000, placé en  liquidation judiciaire
I tifosi del Calais si congratulano con i giocatori.

Nel paese iniziano a circolare le prime voci dei media che parlano e scrivono di questo gruppo di ragazzi che collezionano notti di gloria nella coppa nazionale. Poi la mattina dopo quando la sveglia suona , si riparte per andare a lavorare.

Eliminata ai tredicesimi una matricola dilettante ,che come loro inseguiva sogni di gloria, il sorteggio pone davanti al Calais un’altra formazione di Ligue 2 : Il Cannes.

Si gioca a Boulogne, perché il minuscolo stadio di casa non era più in grado di contenere un cosi alto numero di tifosi. I professionisti passano in vantaggio a cinque dalla fine dei tempi supplementari, quasi spezzando ogni speranza dei canarini. Ma gli uomini di Lozano non si danno per vinti e acciuffano il pareggio in extremis. Ancora una volta si va ai tiri dal dischetto per sancire il vincitore, ma quelli ormai sono diventati una specialità della casa. Il portiere dei canarini neutralizza ben due calci di rigore, mentre i cinque scelti da Lozano non sbagliano. Il Calais elimina i professionisti del Cannes e vola ai quarti.

Eccoci quindi ai quarti di finale. In griglia sono rimasti solo clubs di prima divisione, fatta eccezione del Nimes che gioca in seconda ed il Calais, che con questi nomi non ha niente a che fare.

Il sorteggio oppone ai canarini lo Strasburgo, reduce dalla vittoria con il Psg. Per la prima volta Lozano e i suoi si trovano ad affrontare un club di Ligue 1.

L'Epopée Coupe de France 2000 : La belle Histoire [Calais-Cannes] VDS  06/03/2020 - CALAIS FOOTBALL MEMOIRE
La pagina di uno dei quotidiani locali , prima dei quarti di finale.

Dopo solo 6’ minuti lo Strasburgo è già in vantaggio ma sembra solo che il goal faccia perdere al Calais ogni residuo di timore reverenziale. I canarini prima pareggiano e poi trovano il vantaggio su un tiro da fermo dalla tre quarti. Nel secondo tempo addirittura lo Strasburgo rischia di capitolare. Al termine dei 90’ il piccolo Calais può alzare le braccia al cielo per lo storico traguardo raggiunto: la semifinale.

E’ un trionfo leggendario perché adesso di questa piccola cittadina transalpina ne parlano davvero in tutta Europa.

“Vedevamo la nostra piccola città trasformarsi dopo ogni partita,

eravamo diventati il pricipale argomento di conversazione.

Dal macellaio, nei bar, dal fornaio. Tutti parlavano di noi…”

MOMENTI DI GLORIA.

Si arriva al punto che ormai da tempo, la piccola cittadina che sta attraversando sui campi di Francia momenti di gloria, è sulla bocca di tutti. Gli atleti stessi vengono elevati a veri e propri eroi e finiscono velocemente sotto il mirino di giornalisti e telecamere.

Mister Lozano cerca di mantenere alta la concentrazione sottraendo i giocatori alle grinfie di tutto quello che non ha a che fare con il rettangolo di gioco.

Si arriva così alla semifinale, dove l’avversario ha il nome di Bordeaux, ex campione di Francia e fresco uscente dalla Uefa Champions League.

L’ ostacolo sembra insormontabile, ma ancora una volta i Canarini riescono nell’impresa. I tempi regolamentari terminano sull’1-1. Al 113’ il Calais trova prima il vantaggio su una sbavatura difensiva del Bordeaux, per poi mettere il sigillo definitivo che fissa il risultato sul 3-1. Il sogno è realtà, gli uomini di Lozano sono in finale.

Momenti di gloria e di festeggiamenti dopo la vittoria sul Bordeaux.

Al ritorno a casa tutta la cittadina scende in piazza per accogliere la propria squadra. Una città intera per un gruppo di ragazzi che gioca in quarta divisione. Qualcosa di incredibilmente irripetibile.

I festeggiamenti sono tanti , tant’é che il coach Ladislas Lozano accusa un malore e viene portato via in ambulanza. Ci vorranno tre giorni di Ospedale per recuperare. Durante la degenza , addirittura riceverà un telegramma di complimenti dall’allora presidente francese Jacques Chirac.

L’ATTO FINALE.

La finale è prevista per il 7 Maggio 2000. Nell’arco di tempo che intercorre, i giocatori finiscono davanti ai microfoni, telecamere, sono nel mirino dei giornalisti e non solo. Il coach Lozano continua a predicare umiltà, ma sorge spontanea una domanda: Come puoi tenere con i piedi a terra, gente che nell’umiltà ci sta da quando è nata e che adesso ha finalmente fama e gloria?

Si gioca a Parigi nello Stade de France, lo stesso che ha visto il trionfo della nazionale dei galletti ai mondiali del ’98 , contro la corazzata verdeoro.

Più di trentamila si mobilitano da Calais, per una squadra che di solito conta non più di 400 tifosi.

Dall’altro lato il Nantes, altra finalista, che appena eliminato il Monaco di Barthez e un giovanissimo Trezeguet, vanta un passato prestigioso ed milita attualmente in Ligue 1 come Bordeaux e Strasburgo.

I Canarini, nonostante la cornice da brividi di Parigi e la tensione per un evento di rilievo così fuori dal comune, non si lasciano intimorire e sulle ali dell’entusiasmo passano in vantaggio ancora una volta. Il Nantes trova il pareggio quattro minuti più tardi e il risultato sembra inchiodarsi sulla parità con l’epilogo dei supplementari, una condizione che gli uomini di Lozano hanno vissuto più volte nell’arco della competizione. Tuttavia però il calcio come la vita può esser beffardo proprio sul finale.

Un veloce contropiede del Nantes costringe uno dei difensori del Calais, leggermente in ritardo sulla marcatura, a commettere fallo all’interno dell’area di rigore. Per il direttore di gara non ci sono dubbi e indica il dischetto.

Dagli undici metri il Nantes raddoppia e per la brigata di Lozano rimangono ormai pochissimi giri di orologio. Minuti che per i canarini della Francia del nord , non sono altro che i titoli di coda su questa impresa.

Un viaggio iniziato un anno prima, partito in mezzo a poche centinaia di tifosi e concluso in mezzo ad ottanta mila spettatori.

Quei mesi di sudore, sacrificio ed euforia verranno sintetizzati in una sola foto; quella dove il portiere e capitano del Nantes alza simbolicamente il trofeo insieme al capitano del Calais.

On a retrouvé Réginald Becque, héros de la coupe de France qui a atteint la  finale en 2000 avec Calais
L’atto di premiazione dopo la finale allo Stade de France.

Il ritorno a casa è comunque una marcia trionfale per i ragazzi di Lozano. La cittadina è grata sotto tutti i punti di vista ad ogni singolo atleta e di fatto ,poco importerà, se la libidine di vedere una squadra di dilettanti sul tetto di Francia e quindi qualificarsi alla Coppa Uefa, resterà solo un sogno.

Il viaggio del Calais è ormai giunto al capolinea. Tornare alla vita di sempre dopo aver quasi sfiorato il tetto dell’Olimpo non è facile ,ma a tutti va bene così, perché ancora oggi , a distanza di quasi venticinque anni, l’intera nazione non ha mai dimenticato l’impresa di quegli eroi silenziosi, tornati alla normalità.

Da Cenaia all’Olimpo : un sogno diventato realtà.

INTRODUZIONE.

Sto scrivendo mentre continuo ad appassionarmi di un’altra grande impresa calcistica. Certi luoghi del resto parlano, comunicano, ci fanno assaggiare a piccole gocce la storia di paesi, borghi o addirittura frazioni che improvvisamente un bel giorno, riescono a ritagliarsi uno spazio tra i grandi. Che sia o no un segno del destino, per di più legato ad un profilo storico spesso incerto e altalenante, non lo si può confermare. Quello che però possiamo dire è che sicuramente l’umiltà, il lavoro e la perseveranza pagano e forse, dopotutto  anche qualche buon dio del calcio a volte si accorge della loro esistenza.

 COME NASCE L’IDEA.

Sapete, mentre continuo a scrivere, ripenso un po’ a come è sbocciato in me il desiderio e la curiosità di appassionarmi a questo racconto. Era una domenica sera di aprile, mentre ancora finivo l’ultimo boccone della cena. Come di consueto decido di dare una sbirciatina sul web, curiosando  qua e la, tra notizie ed eventi della giornata. Sfogliando tra le varie pagine internet locali , mi imbatto in un breve estratto della rivista “Il Tirreno“ che mi proposi di leggere interamente. La mia attenzione in quell’esatto momento si sovrappose ad una delle mie più grandi passioni: il calcio.

Scorrendo tra le righe, mentre continuavo la lettura ,  percepii , che dentro di me, in qualche modo stava nascendo un leggero e velato sentimento d’interesse. Al tempo stesso però, s’ intrecciava all’amore per un paesino di provincia, che aveva quasi compiuto il miracolo. Ebbene si dall’Eccellenza alla massima serie dilettante (SERIE D). Vi chiederete, allora dove sta la particolarità?

Situata in una posizione strategica, Cenaia è solo una FRAZIONE del comune di Crespina Lorenzana, nella provincia di Pisa. Il paese conta oggi circa 2200 anime ed è tra più piccoli borghi della Toscana. Questo è ben sufficiente a farvi capire il perché non abbia impiegato molto ad innamorarmi di questa favola.

Dopo aver letto un breve excursus sul passato calcistico di questo lembo di terra, ho deciso che senza dubbio,  meritava un posto tra le pagine di Coriandoli. Forse anche qualcosa di più.

A due giornate dal termine, mi dissi “ SE VANNO IN D, PARTO E VADO A CENAIA” . Da li in poi ho seguito cuore e passione.

Nel manto erboso del fortino arancio-verde.

IL FUNERALE E LA RINASCITA.

Facciamo però un passo indietro e torniamo alle origini palloniane di Cenaia. Malgrado un po’ tutti abbiamo attraversato alte e basse maree, ci fu un lungo periodo o per precisare  un trentennio , durante il quale qui,  la sfera smise completamente di rotolare. Siamo alla fine degli anni trenta ed in paese c’è grande fermento, in vista del derby di terza categoria con il Collesalvetti. Non esistevano Tv, ne centri commerciali. Tutti aspettavano impazientemente la domenica per andare  a vedere la partita, sognando una vittoria. Ma in quella giornata, le cose non andarono nel verso giusto. La partita degenerò e lo scatenarsi di una maxi rissa costrinse il proprietario del terreno a fare piazza pulita. Via le porte, via le recinzioni e l’appezzamento completamente arato. Si consuma cosi quello che è ricordato come “il funerale del calcio” a Cenaia. Dunque niente più pallone. Solo ciclismo e poco altro, per trenta lunghi inverni.

Bisogna attendere il 1969 per la rinascita, quando un imprenditore agricolo arriva a Cenaia per fare investimenti sui terreni. Il suo nome era Vittorio Pennati, esattamente colui al quale sarà intitolato il primo vero stadio di proprietà della rinnovata società. Fu così che il cuore dei suoi abitanti tornò a battere per questo sport. C’era voglia di riscatto. Ma soprattutto di far capire nei dintorni, quanto questa mancanza, avesse in realtà contribuito ad unire ancora di più un popolo attorno al rettangolo.

Panoramica del rettangolo di gioco a Cenaia.

CENAIA COME CASTEL DI SANGRO ?

Per gli amanti più nostalgici di questo sport,  dopo aver preso coscienza dell’impresa appena compiuta a Cenaia, sorge spontaneo, con un filo conduttore fare riferimento ad un altro grande prodigio calcistico. Non ci ho pensato due volte, perché davanti ad una storia come questa mi è subito tornato in mente, a distanza di quasi 30 anni,  il celebre “ Miracolo di Castel di Sangro “. Cosi lo definì l’americano Joe McGinnis , nel libro scritto proprio durante un suo soggiorno nel paesino abruzzese. Chi è del mestiere naturalmente si ricorda bene come andarono i fatti. Guidato dal CT Osvaldo Jaconi, uno dei più piccoli paesi di provincia in assoluto della penisola (appena 4000 anime nel 1995),  si ritrovò catapultato magicamente nella serie cadetta, dopo una cavalcata a dir poco incredibile.

Oggi sembra proprio che queste due storie corrano lungo il medesimo binario. Un parallelismo che, malgrado a distanza di cosi tanti anni, parla di trionfi e memorie indelebili. Di imprese più uniche che rare. Ma soprattutto riporta alla luce i valori essenziali del calcio: umiltà, passione, dedizione e un po’ di sano patriottismo.

Quello che unisce i duemila cuori tutte le domeniche allo stadio qui a Cenaia, lo stesso che porta alcuni cittadini del paese a collaborare in società , uniti dall’amore di un pallone che rotola incerto. Allora non è un caso forse, che le più belle favole calcistiche nascano in questi modesti campi di provincia.

Perché un sogno lo si coltiva dal basso, in silenzio.

Solo da chi continua a credere che l’impossibile, sia nient’altro che la teoria astratta dei vinti.

LE INTERVISTE.

Al mio fianco il direttore sportivo Bruno Betti e il mister Massimo Macelloni.

1.1  IL DS BRUNO BETTI .

  1. Diamo il benvenuto e la buonasera a Bruno Betti e Massimo Macelloni, rispettivamente direttore sportivo e mister del Cenaia calcio nella stagione appena conclusa. E ‘un piacere per me oggi esser qua ad intervistarvi e d’altro canto immagino, abbia un sapore magico per voi raccontarci la stagione appena trascorsa. Un campionato condotto ai limiti dell’incredibile; la svolta nella gara con i diretti rivali della Fratres Perignano e  la ciliegina sulla torta ad una giornata dal termine che vi proietta verso il sogno chiamato serie D. Per cominciare, vorrei chiederle che sapore ha per lei questo trionfo e quanto è importante ai fini del prestigio e della crescita della società?

Il trionfo è stato qualcosa di eccezionale. Sapevamo che la squadra era ben costruita, forti del fatto che ormai già da due tre anni l’ossatura del gruppo era solida. C’era chi ai nastri di partenza probabilmente ci dava anche fuori dai playoff, ma noi eravamo pienamente consapevoli che la rosa era stata allestita per arrivare nelle prime cinque posizioni. Lo scorso anno tra l’altro , eravamo reduci dalla sconfitta ai rigori in finale di Coppa Italia contro la Fortis Juventus  in campo neutro ,per cui conoscevamo bene qual’era il nostro potenziale.

Certamente vincere un campionato non è mai facile ed è stata una bella soddisfazione quest’anno. L’apoteosi , a cinque giornate dal termine in trasferta col Perignano dove siamo usciti vincitori da un campo insidioso , sotto tanti punti vista : atletico , fisico e mentale.  Forse loro dopo quella gara sono crollati mentalmente e ci hanno un po’ spianato la strada al successo, sebbene un segnale forte lo avevamo già dato una o due gare prima , vincendo a Santa Croce Sull’Arno con la Cuoiopelli. Dopo questi successi, col mister abbiamo iniziato a credere che potevamo realizzare l’impresa.

2. Entriamo un po’ nel vivo della stagione di un campionato che vedeva  ai nastri di partenza avversarie agguerrite come Castelfiorentino, Fratres Perignano, Camaiore oltre che a nomi di un certo blasone come Cuoiopelli, Massese, Armando Picchi. Ecco la società aveva già chiaro al via quale fosse l’obbiettivo, o avete cambiato un po’ i piani in corsa diciamo? In quale momento decisivo avete capito di poter realizzare davvero qualcosa di incredibile?

No , ci eravamo dati un obbiettivo fin dall’inizio , da quando siamo partiti a giugno a formare la rosa. Infatti durante l’anno non abbiamo dovuto fare molti ritocchi. A dicembre abbiamo preso un attaccante , per sostituire un infortunato , il quale non sapevamo bene se fosse rientrato. Si è aggiunto poi un centrocampista, ma sono state le uniche due volte che siamo tornati sul mercato. Come già detto , il gruppo era solido e compatto per tanto avevamo massima fiducia nei nostri mezzi.

3. La vostra favola assomiglia un po’ a quella che i più nostalgici ricordano come “ il miracolo di Castel di Sangro” quando un paesino abruzzese di provincia di solo 4000 anime si trovò nell’annata 1996/97 a cavalcare l’onda del campionato professionistico cadetto( serie B). Dopo aver letto qualche settimana fa un breve articoletto sul Tirreno, proprio sul trascorso della vostra società , mi sono appassionato di questa storia e dell’impresa compiuta. Un aneddoto mi ha colpito su tutti, o meglio l’umiltà e la dedizione che tutti gli addetti ai lavori hanno impiegato per il raggiungimento di questa vittoria. Da chi prepara il pranzo e apparecchia come il sig. Antonio, a chi si occupa di pulire i seggiolini della tribuna come il signor Liviano e chi come voi direttamente era a contatto con i giocatori settimana dopo settimana . Quale ritiene sia stata la chiave del successo di questa società?

La chiave di successo della società è stata sicuramente data dal gruppo. A parte i ragazzi e il mister ovviamente che hanno trovato i giusti equilibri, un plauso va anche alla dirigenza che non ci ha mai fatto mancare niente. Tutti con l’entusiasmo e la voglia di portare a termine questo campionato nel miglior modo possibile. Dal custode, a chi lava le divise da gioco, i dirigenti e addirittura il presidente sempre presente agli allenamenti con una battuta o magari una barzelletta da raccontare ai ragazzi. Trasmetteva il sorriso a chiunque e questo sicuramente ha contribuito a rafforzare il legame anche tra gli atleti nello spogliatoio. Per questo ribadisco che il gruppo è stato essenziale per noi. Abbiamo cercato di lavorare tutti uniti per un obbiettivo non tralasciando naturalmente il divertimento e lo star bene insieme. I sacrifici e il nostro lavoro alla fine ci hanno premiato; abbiamo conquistato la prima posizione a metà novembre e da li l’abbiamo portata in fondo, per cui non credo sia un caso.

4. Il campionato nazionale dilettanti è quindi il palcoscenico più alto che la società abbia  toccato fin dalla sua nascita, e del resto si presenta come una sfida totalmente nuova della quale avrete tutto da scoprire. Forse ancora un po’ troppo presto, ma voglio chiederglielo lo stesso. Cosa vi aspettate dalla prossima stagione? 

La prossima stagione per noi, sarà tutto nuovo e quello che verrà sarà comunque guadagnato. Se devo esser sincero ,speravamo in una riduzione delle quote. In Serie D il prossimo anno ci sarà l’obbligo di ben quattro giocatori in quota. Tra l’altro credevo che tra questi,  mantenessero l’annata 2002 , invece è stata tolta inserendo il 2005. Quindi dovremo lavorare duramente col mister fin da subito,  perché quattro quote per noi sono tante.

Noi dobbiamo mantenere i piedi a terra, e con umiltà cercare di arrivare alla salvezza. E’ importante mantenere la serenità nel lavoro che facciamo e che ci ha sempre contraddistinto, consapevoli del fatto che le difficoltà comunque ci saranno. Troveremo ambienti e stadi di livello superiore al nostro come Livorno , Città di Castello , dove ovviamente ci sarà richiesto di mantenere sempre alta la concentrazione .Allo stesso tempo, questo sarà per noi e per il paese anche motivo di orgoglio e soddisfazione . L’ultima giornata, alla festa promozione, ci saranno state 1000 persone e il paesino ne ospita 2200 totali. Anche per questo puoi benissimo immaginarti cosa ha significato per la gente di qua questo trionfo.

Il centro sportivo Favilli, sede dell’impianto di casa dello S.C Cenaia.

1.2 IL MISTER MASSIMO MACELLONI.

1. All’inizio di questa stagione, quali erano le insidie più grandi che pensavate di dover affrontare?

Sicuramente le squadre citate. Quelle più organizzate e con un organico superiore per il tipo di campionato che si doveva affrontare. Noi, dal canto nostro siamo partiti mantenendo un profilo umile ma al tempo stesso consapevoli di aver un gruppo consolidato già dalla scorsa stagione, ben amalgamato. Siamo andati sul mercato giusto per inserire in rosa quei 3-4 giocatori che potevano far al caso nostro e darci un po’ di qualità. Siamo partiti e abbiamo portato in fondo nel migliore e nel più sorprendente dei modi la nostra cavalcata.

2. Quanto è stato decisivo secondo lei l’affiatamento dello spogliatoio per il raggiungimento di questo traguardo?

Tanto. Come ha detto il direttore, dal presidente ai magazzinieri , allo staff della società finendo ai giocatori. Tutti hanno avuto un ruolo fondamentale in quest’annata. Quando la sera venivamo al campo per l’allenamento, c’era l’euforia , la voglia di divertirsi e lavorare con serietà. Questo secondo me è stato ciò che ha fatto la differenza e ci ha premiato.

3. Questo risultato e questa vittoria sono figli diciamo di un progetto iniziato tanti anni fa. Il passato tra alti e bassi vi ha dato anno dopo anno nuovi stimoli per continuare a credere e sognare in questo cammino, guardando il passato , come ritiene sia cresciuto il gruppo e quanto è stato importante per voi non perdere mai di vista l’obbiettivo prefissato?

Sicuramente il nostro obbiettivo era quello di restare agganciati alle prime posizioni. Il gruppo non aveva nessuna prima donna, ma tutti “operai”che si davano da fare sul rettangolo e dimostravano sempre massimo impegno . Lo testimonia il fatto che durante l’anno non abbiamo mai avuto cali fisico atletici, mantenendo costantemente l’asticella alta. E’stato sempre un crescendo, fino al triplice fischio che ci ha poi eletto campioni. 

4. Qual è stato mister il segreto del suo lavoro con i ragazzi e cosa ha cercato di trasmettere loro per arrivare a questo trionfo, sia sul campo che a livello umano?

Siamo partiti allestendo una squadra fatta da persone serie e soprattutto da lavoratori. Gran parte dei ragazzi di questa rosa lavorano tutto il giorno e quindi la sera venivano ad allenarsi già stanchi della giornata lavorativa. Di conseguenza era veramente importante allenarsi cercando di non perdere mai il sorriso. Un aspetto che,  anche la domenica , ci avrebbe portato a rendere il 110%. Con il passare del tempo c’è stata l’acquisizione della consapevolezza che potevamo raggiungere un obbiettivo importante. Già da metà Novembre ci siamo trovati al comando della classifica e questo ovviamente ha portato nell’aria e nell’ambiente quel sentimento di entusiasmo e fiducia ulteriore nella forza di questa squadra.   

5. Qual è  stato mister secondo lei il momento decisivo  di svolta , nel quale avete capito di poter dare al paese e ai tifosi qualcosa di straordinario?

La svolta è avvenuta il fine settimana  nel quale la Cuiopelli ha perso a Perignano. La domenica successiva andavamo a giocare in trasferta a Santa Croce e all’ andata ci avevano massacrato in casa 4-0.  Siamo riusciti a vincere , strappando tre punti pesantissimi e lì effettivamente è cambiato qualcosa. Con la Cuiopelli a -6, ci siamo trovati un ultimo scalino da superare : Il Fratres Perignano. Vincendo anche in casa loro, abbiamo davvero messo un sigillo sulla vittoria finale. Raccogliere 3 punti così importanti con una diretta pretendente, a sole cinque giornate dal termine, è stato il segnale decisivo che ci ha fatto capire che  l’impresa era davvero vicina.

6. Ancora forse troppo presto per poter esprimersi , ma cosa dovrà cambiare nei metodi di lavoro e a livello di mentalità per affrontare la serie D ? e quali saranno i probabili obbiettivi?

Per questo si dovrà fare il punto parlando con la società. Prima di tutto capire se l’allenatore è da riconferma ( risata ironica ) e poi ci metteremo al tavolo e prenderemo in considerazione tutti i vari aspetti. Da quello degli allenamenti a quello organizzativo; attenderemo ancora un po’ di tempo poi vedremo come andrà, intanto ci godiamo il trionfo e il ricordo di questa bellissima stagione.

Alcune foto ricordo della stagione appena trascorsa.

Quando l’Iran sconfisse il grande Satana.

Introduzione.

Difficile capire cosa si cela dietro il mondo dei veli. Un pò per la sua innata misteriosità che fin da sempre mi attrae, un po’ perché d’altro canto è una cultura ancora troppo lontana e diversa dalla nostra. Del resto l’islam ha radici antichissime e non è quindi un caso che in qualche modo rispetti ancora oggi canoni e standard tradizionalisti e conservatori, sotto molteplici aspetti della vita quotidiana.

Su tutti, direi che la libertà d’espressione delle donne resta ancora oggi uno dei nodi più delicati da snocciolare concretamente. Da un lato, sebbene alcuni paesi abbiano alleggerito le pressioni ed  intrapreso un processo di occidentalizzazione rispetto agli anni 90, altri sembrerebbero non volerne proprio sapere perché significherebbe infrangere letteralmente le basi del culto e tradire la propria terra.

La penisola arabica vanta una superficie piuttosto grande e nonostante la lingua sia la medesima, ci sono in realtà tante piccole differenze tra paese e paese. E’ un’evidenza ormai confermata che alcune di queste terre rappresentino  una ricchezza di inestimabile valore per il medio oriente considerando l’esportazione di minerali e petrolio a livello mondiale. Proprio sull’estremità più ad est del medio oriente, sorge la diciottesima nazione del globo per estensione. Nelle pagine di storia  è conosciuta con il nome di Persia, nonché patria di una delle civiltà più antiche del mondo, oggi meglio nota come Repubblica islamica dell’Iran sede di convivenza di incredibili diversità etniche e culturali.

Cenni storici.

Il 4 Novembre 1979 segna decisamente un punto di svolta per la storia dell’Iran. Di fatto masse di studenti universitari invadono, senza incontrare resistenza l’ambasciata americana a Teheran. Gli Stati Uniti, potenza occidentale, erano visti come il Grande satana e si sentiva la necessità nel paese, che il mondo dovesse parlare un po’ di Iran .Quello che accadde in quella giornata fu il punto di partenza di un vero e proprio medioevo integralista. Il paese si avviò alla chiusura verso il mondo, sbarrando le sue frontiere, riducendo i contatti con altri paesi determinando l’inizio di un periodo storico che ha sancito indelebilmente le pagine di questo paese. Tra gli artefici l’ayatollah Khomeyni che aveva invitato la popolazione, attraverso la sua propaganda, a ribellarsi contro gli interessi degli americani in Iran. Soltanto il 20 gennaio 1981 quando il nuovo presidente Ronald Reagan aveva appena accettato la carica, i 52 impiegati rimasti ostaggio per quarantaquattro giorni vennero finalmente liberati. Questo era il biglietto da visita di un’Iran che si candidava cosi come un nemico forse ben peggiore dell’Unione Sovietica, crollata pochi anni dopo.

Siamo a Marsiglia , città del sud , storico centro del commercio portuale transalpino. E’ il 4 dicembre 1997, diciott’anni e un mese dopo l’assalto a quell’ ambasciata. Tra le trentadue finaliste del mondiale c’è anche l’Iran che si è qualificato dopo un percorso controverso e uno spareggio con l’Australia che non si era riusciti ad evitare. Per di più la sua partecipazione ha un sapore del tutto nostalgico, perché è dal lontano 1978 che la nazionale asiatica non centrava la qualificazione. 

Estili, ovvero l'Iran nel pallone - Quattro Tre Tre
La nazionale iraniana che partecipò al mondiale transalpino del 1998.

Lo Spareggio.

L’Iran affronta un ultimo turno di qualificazione con la vincente dell’Oceania; il 22 Novembre 1997 all’Azadi Stadium di Teheran non c’è un posto libero. Centotrentamila spettatori affollano gli spalti, tuttavia neanche un volto femminile perché si sa la donna ancora non ha pienamente acquisito certi diritti. Dall’altro lato la nazionale australiana , che non vorrebbe giocare in Iran per i disordini e il clima vigente, chiede alla FIFA di destinare la partita altrove, ma gli addetti ai lavori respingono la richiesta. La nazionale oceanica atterra solo tre ore prima della gara , e va in vantaggio con Harry Kewell dopo soli diciannove minuti. Gli iraniani non si lasciano intimorire e pareggiano i conti con Azizi. La partita di andata si chiude in parità e tutto è rimandato alla gara di ritorno, cinque giorni dopo al Melbourne Cricket Ground. Gli ottantacinquemila presenti attendono solo di riempire le strade della città e festeggiare la qualificazione dei Socceroos. Australia avanti con Kewell e poco dopo raddoppio di Vidmar. Poi improvvisamente un tifoso esibizionista fa il suo ingresso in campo ,correndo fino alla porta iraniana , dalla quale strappa totalmente la rete dopo esservisi aggrappato. La partita naturalmente si interrompe per un po’ di minuti per il ripristino della situazione di gioco. Quando riprende , la storia è cambiata letteralmente, gli iraniani sembrano aver cambiato marcia mentre gli australiani sembrano rimasti alla sospensione forzata.

Ad un quarto d’ora dal triplice fischio, prima Bagheri accorcia le distanze, poi ancora lo scatenato Azizi spedisce i suoi direttamente al mondiale transalpino, realizzando la rete del 2-2.

Asian Classics: IR Iran v Australia (1998 FIFA World Cup Qualifiers) -  Network Ten
La gioia dei giocatori iraniani dopo lo spareggio con l’Australia, che li ha visti qualificarsi al mondiale del 1998.

In Iran esplode la festa. Una gioia incontrollabile ; la gente ballava per le strade bevendo alcolici apertamente, le donne si toglievano il velo. Infrangere le regole ,che da anni avevano tenuto il paese sotto egemonia, era l’espressione più naturale per dimostrare la felicità di un paese intero che si stringeva con la sua nazionale al trionfo raggiunto. Persino le forze dell’ordine nulla possono, perché anche loro erano prima tifosi e poi guardie. Al rientro nella capitale la squadra viene accolta da orde di persone festanti , nonostante tutto c’è chi il successo non riesce ad assaporarlo. Il C.T Vieira viene esonerato, sei mesi prima del mondiale. Arriva al suo posto il serbo Tomislav Ivic, ma a Maggio anche quest’ultimo verrà sollevato dall’incarico. Quale miglior scelta , se non quella di affidarsi ad un C.T made in Iran per la partecipazione a Francia ’98? 

Benvenuto Jalel Talebi.

Il Confronto con gli USA.

La fase finale del mondiale vede gli iraniani inseriti nel girone F insieme a Germania, Jugoslavia e indovinate un po’? Gli Stati Uniti.

L’impatto con il mondiale è negativo per entrambe le nazionali. L’Iran perde con la Jugoslavia mentre gli americani escono sconfitti per 2-0 dai tedeschi. La sfida del 21 Giugno 1998 è un dentro o fuori : chi perde può fare le valige in anticipo , i vincitori possono sperare nell’ultima giornata.

A complicare le cose ci pensa una tv privata francese che in settimana trasmette un film dal titolo Not without my daughter. La storia narra di una donna americana che lascia l’Iran con la figlia, contro la volontà del marito al quale si trovava suddita. Una chiara rappresentazione della vita in Iran, che come avevo accennato nell’introduzione, vede la figura femminile letteralmente sottomessa , in un clima cupo e dominato dall’oscurantismo religioso.

Non è finita qua. Il regime di Teheran aggiunge un nuovo motivo di scontro. Gli americani sono etichettati come la squadra A e l’Iran la B , per cui secondo il protocollo Fifa , dopo l’ingresso in campo e gli inni toccherà alla nazionale islamica incamminarsi verso gli avversari per la stretta di mano. Khomeyni è morto nel 1989 ed al suo posto è subentrato l’ayatollah Ali Khamenei, leader supremo della Repubblica islamica, che di fatto non è per niente convinto di sottostare ai comandi e procedure Fifa:

L’Iran non deve camminare verso gli americani”

Sebbene il susseguirsi di queste vicende abbia contribuito a riscaldare gli animi, la problematica più seria avanza quando gli oppositori del regime , finanziati da Saddam Hussein e considerati un organizzazione terroristica , acquistano svariati biglietti per la partita, con l’obbiettivo di creare panico e confusione . Sembrano i preparativi di una manifestazione di massa a rischio incidenti ma a sorprendere tutti ci pensano i giocatori iraniani che entrano in campo tenendo in mano mazzi di rose bianche , in segno di pace. La tensione si scioglie, le strette di mano sono sincere e i ventidue giocatori si mescolano a centrocampo per una foto tutti insieme. E’ come se Usa-Iran cominciasse dall’1-1.

La pace val bene un gol”: Usa-Iran al Mondiale di calcio del 1998 - Opinio  Juris
Iran ed Usa si scambiano il saluto a centrocampo prima dell’inizio gara il 21 Giugno 1998.

Giocano meglio gli iraniani, difendendosi egregiamente con ordine e rispondendo in contropiede a gran velocità. Hamid Estili sigla la rete del vantaggio verso la fine della prima frazione di gioco, Mehdi Mahdavikia raddoppia e chiude il confronto a cinque minuti dal triplice fischio. C’è perfino spazio per il goal di McBride che accorcia le distanze per gli americani. L’Iran conquista la sua prima storica vittoria in un mondiale e proprio contro quello che doveva essere il nemico più odiato. A Teheran, fiumi di gente che si riversa nelle strade, canta, balla , uno scenario già visto in occasione della vittoria nello spareggio con l’Australia.  

FIFA World Cup Qatar 2022 | the-AFC.com
La gioia incontenibile dei giocatori iraniani dopo la vittoria sugli Stati Uniti al mondiale del 1998.

Nonostante i festeggiamenti, c’è chi naturalmente non riesce a riappacificare il proprio animo nei confronti dei rivali e continua a tenere accesa la fiamma dell’odio. Khamenei invia un messaggio in Francia congratulandosi con la squadra e snaturando del tutto gli americani. Le immagini delle feste vengono censurate dalla Tv iraniana e alcune sommosse anti Usa prendono campo anche in Libano e Palestina.

Purtroppo il mondiale per entrambe terminerà qui , dopo che gli americani escono sconfitti per 1-0 con la Jugoslavia e gli Iraniani soccombono sotto i colpi di una più coriacea Germania.

Diciotto mesi dopo il confronto tra le due nazionali torna in campo, questa volta per un amichevole al quanto simbolica a Pasadena , a dimostrazione di una pace e cooperazione raggiunta da quel 21 giugno.

Popovich, storico CT della nazionale a stelle strisce di basket, dà la sua benedizione dopo un Usa- Iran ai giochi di Tokyo del 2020 :  

“La gente normale va sempre molto più d’accordo dei suoi politici”

Da allora la diplomazia ha compiuto progressi e il pallone è tornato a mettersi nel mezzo a questi due paesi, perché anche a Qatar 2022 Usa e Iran sono inseriti nel medesimo girone. Appuntamento al 29 Novembre a Doha ore 22 locali, le 11 di mattina a New York, le 8 a Los Angeles , sulla West Coast.

Vogliamo credere davvero che il mondo abbia compiuto dei progressi e siamo convinti che il raffronto tra queste due realtà non sia più lo spauracchio e la faccia di una medaglia che storicamente aveva diviso il globo, separato popoli ma soprattutto portato enormi pregiudizi sulle nazioni.

La Freddezza dell’illusione.

Villarreal recuerda con una foto de Riquelme la noche que pudo cambiar la  historia | TN

Potrei cominciare ,come accade nelle grandi storie di navigazione , esaltando in modo fiabesco le gesta e le imprese dei grandi traghettatori. Cavalcano impavidi mari e oceani ostili alle loro volontà, poi improvvisamente raggiungono traguardi e mete inaspettate. Quello che hanno lasciato alle spalle naturalmente, resta un bellissimo ricordo divenuto presto leggenda.

Ve la ricordate la leggenda del Sottomarino Giallo?

No, non vi confondete, in realtà non sto parlando di nessun tipo di sommergibile o imbarcazione subacquea, ma i veri nostalgici e amanti della pelota ricorderanno subito, che questo nomignolo è da accostarsi ad una formazione iberica che toccò, nei primi anni del 2000, l’apice della sua gloria, consacrandosi come un assoluta sorpresa .

Il Villareal infatti, riuscì incredibilmente a passare, in pochi anni, dalla seconda divisione spagnola ai fasti dell’ Europa, divenendo protagonista. Eppure in quella rosa, non figuravano nomi d’ eccellenza , fatta eccezione per colui che è stato un leader indiscusso del calcio sudamericano: Juan Roman Riquelme.

Il talento argentino è il capitano ed è osannnato da tutta la città come un vero e proprio Dio. Intorno a lui ruota una squadra di forte impronta sudamericana, (Arruabarrena, Sorìn , Forlán, Cazorla) che si affaccia per la prima volta nella Liga nel 1998. Di lì a poco vivrà , gli anni più incredibili della sua storia.

Uživatel total Barça na Twitteru: „Villarreal 2005: Sorin. Forlan.  Riquelme. Cazorla. What a team this was. https://t.co/3dSWnx1qBs“ / Twitter

La vera svolta arriva nel 2004 , quando l’allora presidente Roig Alfonso, decide di dare un volto nuovo alla panchina dei canarini ingaggiando Manuel Pellegrini, all’epoca CT emergente proveniente dal River. Che le cose girassero perfettamente, lo si era subito visto dalla conquista del terzo posto in Liga , dopo aver condotto un campionato nettamente al di sopra delle aspettative. Si approda di diritto in Champions League e questo storico traguardo già profuma d’impresa.

La cavalcata del Sottomarino Giallo alla coppa dalle grandi orecchie comincia con il preliminare, dove ha eliminato l’Everton. Si conferma avversario duro conquistando sorprendemente anche il primo posto del gironcino davanti a colossi come Benfica , Lille e il Manchester United di Sir Alex Ferguson. Agli ottavi di finale, superano con due pareggi, gli scozzesi del Glasgow Rangers e s’ imbattono nell’Inter di Roberto Mancini ai quarti di finale. Sconfitta a Milano per 2-1 e vittoria casalinga per 1-0 , ma la rete di Forlán in trasferta garantisce agli uomini di Pellegrini il conseguente passaggio del turno.

La semifinale, pone davanti un’avversario affermato quanto ostico. L’ Arsenal del filosofo Wenger, che aveva già eliminato Real Madrid e Juventus proverà a fermare il cammino dei canarini. Gli inglesi dal canto loro erano i grandi favoriti e vantavano una rosa zeppa di campioni come: Dennis Bergkamp, Thierry Henry , Sol Campbell , Fredrik Ljungberg e tanti altri.

La gara di andata si gioca ad Highbury Park, nello storico tempio dei Gunners e i padroni di casa vincono con il minimo scarto (1-0) . Dunque tutto aperto per la partita di ritorno, che si gioca in un Madrigal esaurito e sognante.

La partita, resta equilibrata per quasi tutti i novanta minuti con gli inglesi che resistono alle incursioni dei padroni di casa. All’88 minuto di gioco Clichy commette un ingenuità in area di rigore e atterra José Mari. Per il direttore di gara , nessun dubbio e con il fischietto in bocca non esita ad indicare il dischetto.

E’ il momento cruciale della gara. L’ episodio che ha stimolato la mia penna. Ricordo bene Riquelme che bacia ed esorcizza il pallone prima di addossarsi la responsabilità di calciare. In quei secondi preziosi, l’argentino ha in mano il sogno di una città. Un silenzio assordante , nella sua testa, prima di possibili ed interminabili urla di gioia o al contrario, una quiete funesta che avrebbe rovinato del tutto la serata.

Ma quella notte, nonostante il coraggio, il destino aveva deciso che ad andare in finale sarebbero stati gli inglesi. Nella preparazione di quel calcio di rigore la pressione è enorme. Roman calcia un tiro a mezza altezza sul quale Lehmann si avventa senza molta difficoltà ,spegnendo definitivamente le luci al Madrigal .

Arsenal - Villareal: Lehmann e quel rigore parato a Riquelme - Il Calcio a  Londra

La freddezza di un calcio di rigore è così diventata illusione. Non si può più sperare l’insperabile ed il dolore finale dell’eliminazione fa da contro altare all’entusiasmo di inzio gara. Al triplice fischio, Riquelme il leader indiscusso di quella squadra, sgattaiola via verso gli spogliatoi, senza alzare la testa , come se inconsciamente volesse liberarsi del ricordo di una notte piena di sconforto. ” Una noche para olvidar”, avrebbe poi detto.

Il peso di quel tiro dal dischetto in realtà non lo ha mai lasciato nel corso degli anni e nel 2021, in occasione di una reunion con i protagonisti di quel Villareal affermò: ” Non ho mai più riguardato quel rigore, l’ho portato con me , senza però mai riuscire a dimenticarlo”.

Che fine ha fatto il “chievo dei miracoli” ?

INTRODUZIONE.

All’ incirca 20 anni fa. Sembra un tempo lontanissimo, quasi dimenticato,  ma forse non da tutti.
Marazzina,  D’Anna , Eriberto (o Luciano), Corini , Corradi , Manfredini sono solo alcuni nomi emblematici che ci riportano indietro nel tempo, ad un  miracolo di quartiere che ha pochi eguali. Per chi ha vissuto naturalmente l’epopea del ChievoVerona, e’ praticamente impossibile dimenticare quella storica formazione, impressa in modo granitico nella memoria degli appassionati.

GLI ESORDI.

Era il 26 agosto del 2001, quando una matricola proveniente da un quartiere veronese fece il suo esordio nel calcio che conta. E non poteva esserci palcoscenico migliore , se non quello della cornice di Firenze all’ ARTEMIO FRANCHI. 
Grande affiatamento, profilo umile e tanto cuore. Questi sono i principali ingredienti della squadra , proveniente dalla cavalcata che li ha visti trovare la promozione nel torneo 2000-01.  Il Chievo Verona, affacciatosi tra le nobili del calcio soltanto sette anni prima, nell’estate del 1994, ha accresciuto le sue velleità in maniera graduale e costante, andando di pari passo con quelle del presidente Luca Campedelli, che è riuscito a far crescere l ‘impresa di famiglia e mira in alto con il suo ” giocattolino” giallo/blu .

LUIGI DELNERI DETTO ” GIGI”.

Il timoniere e’ un friulano doc , pragmatico,  dedito al lavoro costante , il cui accento per chi sta dall’altro lato dei  micrfoni resta un rebus da snocciolare piano piano. D’altronde, i “miracoli” non si generano dal nulla. È la filosofia di Luigi Delneri, che tutti, però, chiamano Gigi.
Viene da Aquileia, in provincia di Udine, ma il Pino Zaccheria di Foggia è stato la sua seconda casa, almeno per quanto riguarda la carriera da giocatore. Due promozioni in A conquistate sul campo , di cui una con la sua Udinese. Beh sul rettangolo ha sempre dimostrato di saperci fare , e anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo,  la filosofía non cambia.
Allena Ravenna, Nocerina e Ternana raggiungendo con gli umbri una doppia e  storica promozione , dalla C2 alla B. L’ Empoli allora , non tarda a mettergli gli occhi addosso e affidargli la panchina nell’estate del 1998. Esperienza che però si rivelera’ solo una piccola parentesi.  Terminata la preparazione, Gigi abbandona la barca a causa di eclatanti dissidi ed incomprensioni con giocatori e dirigenza, che non appoggiava del tutto le sue teoríe calcistiche.
Ecco che qua probabilmente entra in gioco il destino e la fortuna di DELNERI , che riceve a sorpresa la chiamata del presidente Campedelli, del tutto deciso a scommetere su di lui .

PROMOZIONE E NUOVI ARRIVI.

Luca Campedelli , aziendalista  imprenditore e principale azionista dell’azienda dolciaria Paluani , decide che è giusto dare al tecnico una chance per portare i canarini a brillare nel calcio che conta.
D’altro canto Gigi non delude le aspettative e la promozione viene subito centrata. Del resto una frazione di neanche 5000 abitanti che si affaccia incredibilmente alla massima serie, non è un evento che accade tutti i giorni. Metà miracolo e’ compiuto.
Adesso ciò di cui bisogna preoccuparsi e’ cercare di restarci , magari prendendo qualche ” schiaffo” qua e la’ senza però affondare troppo.
Mercato estivo neanche troppo fiorente;  solo qualche piccolo innesto e qualche vecchia conoscenza . Fra i pali c’è Lupatelli, promessa mai definitivamente esplosa alla Roma; c’è Perrotta che si è fatto notare a Bari con Fascetti dopo aver vissuto due anni alla Juventus, guardando i compagni di squadra perlopiù dalla panchina o dalla tribuna; in attacco torna Marazzina che ha fatto vedere belle cose con la Reggina l’anno precedente e che conosce benissimo l’ambiente-Chievo per avervi già disputato quattro tornei fra i cadetti.

UN’INTELAIATURA CONSOLIDATA.

Si punta tanto su una base solida,  rimasta integra e composta da giocatori che hanno trovato tra loro il  giusto affiatamento. Capitan D’Angelo è un monumento che ha già collezionato oltre duecento presenze in gialloblù. A centrocampo c’è Corini che detta i tempi e davanti  ci sono Corradi e Cossato che si contendono un posto accanto al titolarissimo Marazzina. Ma il vero punto di forza proviene dagli esterni dove ci sono due frecce nere , che mandano letteralmente in delirio i tifosi scaligeri. Eriberto e Manfredini, sono di fatto due assi nella manica di quel Chievo . Il primo fa parlare di se per  Rapidita’ , dribbling e buon senso del goal mettendo non poco in difficoltà gli avversari sulla fascia destra. Il secondo, ragazzo ivoriano cresciuto in Italia,  vanta un passato nelle giovanili della Juventus ed una lunga gavetta in serie C ( due buoni campionati a Cosenza ed uno a Genoa) , prima di approdare tra i grandi. Delneri individua il suo profilo per affidargli la corsia sinistra e Manfredini vola che è un piacere.

AL FRANCHI L’INIZIO DI UNA STAGIONE DA INCORNICIARE.

Forte di un gruppo ben amalgamato, il Chievo fa il suo esordio in serie A,  una giornata di venti anni fa, al cospetto di una grande come la Fiorentina. La società viola tuttavia sta attraversando non uno dei migliori momenti , ma i giocatori sono di tutto rispetto : Nuno Gomes, Chiesa, Di Livio e Cois per citarne alcuni.
La partita, giocata su alti ritmi dagli uomini di del NERI, davanti agli occhi sconcertati dei tifosi viola,  li vedrà uscire trionfanti al triplice fischio con reti di Perrotta e Marazzina.
In molti si affidano al “caso ” cercando spiegazioni dietro ad un risultato a dir poco sorprendente. Ma non e’ un fuoco di paglia e neanche un colpo di fortuna. Il Chievo macina buon gioco , senza badare al nome e alla caratura dell’ avversario ( Juventus,  Inter,  Milan) ,continuando a stupire mentre strizza l’occhio allo spettacolo. Per lunghi tratti del campionato, gli scaligeri occupano le primissime posizioni della graduatoria, sfiorando addirittura il titolo di campioni d’inverno e ammutolendo al proprio cospetto tutte le cosiddette “grandi”. Nelle battute finali del campionato , addirittura si rivelano  una delle pretendenti alla lotta scudetto, dando una mezza spallata all’ inter di Cuper, alla quale sottraggono quattro punti sui sei a disposizione. La storia e’ già scritta. Il sogno che sembrava lontano e’ finalmente diventato realtà.

LA FINE DI UNA FAVOLA.

Nonostante la tragica scomparsa di Mayele’ , nel mese di marzo il gruppo ha saputo restare unito arrivando a toccare la vetta piu alta della montagna. L’ anno successivo non si ripetera’. Di fatto i giornalisti lo definiranno ” il miracolo di ChievoVerona” sulle prime pagine dei quotidiani sportivi.
Si perché forse e’ durato tutto un attimo.  A tratti e’ sembrato davvero un bellissimo sogno, dal quale era difficile svegliarsi.
Quella favola nata in pochi anni e svanita in un battito di ciglia.
Una storia sentimentale, autentica che è finita sotto la pelle e dentro il cuore di molti appassionati di calcio. Una di quelle che va al di là dei colori sociali, delle tifoserie,  e risuona ancora come le parole di una romantica ed incompiuta canzone d’amore.

Sulle note del passato e di un derby ligure dal sapore nostalgico.

Introduzione.

Parlare e raccontare di un derby non è mai cosa facile. In particolare tenendo conto del fatto che chi a volte  racconta , per origini, da tifoso  o per altro, potrebbe inconsciamente assumere prese di posizione fin troppo evidenti al lettore. Ma non è questo il caso , visto e considerato che non sono del posto e che sopratutto ,mi sono appassionato di questa storia , nata all’interno di una conversazione con uno dei diretti protagonisti di quella stagione. 

Come e dove nacque il derby?

Il concetto di derby risale all’ incirca al 1700 e si sviluppò in Inghilterra in occasione del game day con l’avvento del Martedi grasso. In particolare, proprio nella città di Derby, fu organizzata una sorta di olimpiade di giochi, ai quali parteciparono anche gran parte dei giovani abitanti residenti nei quartieri limitrofi. Questo portò naturalmente ad innalzare il numero dei partecipanti e di conseguenza la rivalità tra i contendenti e le varie squadre della città. Celebre fu la partita giocata tra i giovani della parrocchia di All-Saints che sfidarono quelli della vicina Saint Peter.La partita fu molto accesa e maschia  . Cosi , nonostante gli svariati tentativi da parte del sindaco di interrompere il gioco,  per il subbuglio cittadino, la tradizione fu tramandata negli anni fino a quando si giunse a coniare il nome della città , attribuendole  il significato comune che tutti noi conosciamo. Oggi ,infatti  , un derby rappresenta una qualsiasi partita di calcio giocata con acceso campanilismo tra clubs vicini.

Liguria: aspra terra di pescatori.  

Si sbarca direttamente in Liguria .Terra aspra, stretta tra il mare le Alpi e gli Appennini, dove si alternano zone estremamente sinuose , con dolci paesaggi che si ergono lungo le coste. La Liguria è una terra ricca di bellezze naturali in cui il connubio tra terra e mare rende particolarmente eterogenea la varietà di ecosistemi presenti nel suo territorio .

Si parla tuttavia, nonostante le ridotte dimensioni, di una delle regioni più densamente popolate della penisola. Al quarto posto precisamente , dietro solo a Campania, Lombardia e Lazio.

Terra di nomadi, pescatori e abitanti del mare come recitano le famose parole di un grande artista , nato e cresciuto proprio in questa terra. Fabrizio Faber De Andrè ( senza dubbio uno dei più incredibili cantautori italiani ) esalta la sua terra natia in uno dei suoi celebri testi popolari , cantato per l’occasione  in dialetto Genovese: 

Umbre de muri, muri de mainé
dunde ne vegnì duve l’è ch’ané…

Ombre di facce, facce di marinai
da dove venite ,dov’è che andate?…

Il testo di riferimento come ricorderete  è CREUZA DE MA. All’interno,  i vari riferimenti alla vita di mare, come le voci dei venditori nel mercato del pesce, la  celebre frittûa de pigneu e il giancu de Purtufin (frittura di pesciolini e il bianco di Portofino)  ci fanno davvero capire quanto il commercio marittimo abbia caratterizzato e influenzato la storia di questa regione fino a costituirne una base solida dell’intera economia. La storia degli antichi borghi liguri racconta anche di poeti solitari. Di porti e insenature che nascondono la magia di speranze ancora vive.

E’incredibilmente sbalorditivo respirare il profumo di vita che questi luoghi ancora conservano, nonostante la clessidra del tempo abbia in qualche modo scalfito evidenti segni del passato.  

Fabrizio de André in concerto , canta Creuza de Ma.

Cosi la Liguria appare come un terra antica e al tempo stesso misteriosa,  agli occhi dei visitatori. Perché di fatto anche il turismo è l’essenza primaria della sua esistenza. Un richiamo turistico importante per le sue bellezze antropiche e naturali , tra le quali spiccano naturalmente la Riviera dei Fiori a ponente , mentre  Le cinque terre , Portofino e Porto venere a Levante. Esattamente in quel lembo di terra attaccato alla Toscana dove il mare accarezza dolcemente gli scogli e l’orizzonte appare come un bellissimo quadro.

Il calcio ligure.

Anche qua il calcio è storia. Di fatto alcune delle più antiche società calcistiche italiane risiedono proprio entro i confini di questa regione. La storia del calcio ligure è anche, almeno per la fase pionieristica, buona parte della storia del calcio italiano. Basti pensare ad esempio al Genoa, che può considerarsi tranquillamente l’antesignano del football in Italia, nonché il vessillifero di questo gioco che andò sempre più affermandosi negli anni, in tutto il territorio nazionale. Se la storia della fondazione del Genoa può essere considerata sufficientemente nota, per via delle molte e documentate pubblicazioni apparse sull’argomento nel corso degli anni, meno noto è il fatto che il primo successo ottenuto da una rappresentativa italiana su di una compagine inglese, abbia avuto come scenario proprio un campo di gioco ligure, posto precisamente, nell’entroterra : stiamo parlando di Vado Ligure . Correva la primavera del 1893 quando la compagine torinese allestita dal commerciante Bosio (il co-fondatore del calcio italiano, assieme ai genovesi) si impose con il punteggio di 2-1 ad una rappresentativa di marinai inglesi. E’ infatti importante ricordare, a proposito di quella partita, che il calcio fu portato ovunque proprio dai marinai inglesi.

“C’erano palloni in ogni stiva. Via via che gli inglesi facevano affari nel mondo, le loro navi partivano e i commerci si espandevano. Il calcio si espandeva con loro.”  Mario Sconcerti .

Sono del 1874 le prime partite ufficiali sulle spiagge di Botafogo, in Brasile. Le giocano marinai, inglesi residenti a Rio e giovani del posto. Dieci anni più tardi la stessa cosa accade a Lisbona e Marsiglia. Il calcio segue il mare. Ecco il motivo . Così in Italia nasce a Genova.

La partita giocata nel 1893 rappresentò  di fatto la prima forma di football in Liguria,  dalla quale successivamente si diramò e si sviluppò tutto il filone del calcio ligure. Che tra gli inglesi e il calcio in Liguria ci fosse una connessione è più che certo , soprattutto per quanto riguarda la città di Genova. Ma al di fuori di Genova, il calcio naturalmente aveva comunque conosciuto altre medio piccole realtà che avevano iniziato a prender forma dandosi battaglia nella periferia della città. Per esempio l’ Andrea Doria o la Sampierdarenese  tra le quali vi era un’accesa rivalità.

Quest’ultime tuttavia daranno origine all’attuale Sampdoria raggiungendo un accordo nel 1946 che le vide fondersi in un unica società . Inizialmente denominata Unione calcistica sampierdarenese-doria e successivamente diventata Unione calcio Sampdoria.

Naturalmente ve ne erano tante altre , perché il calcio ligure detiene un pezzo di storia calcistica della nostra penisola. Per esempio la Sanremese , il cui rettangolo di casa ancora tutt’oggi vanta una struttura molto particolare dove le tribune sono ornate da capitelli e colonne che ricordano  molto l’antica Grecia.

Sanremese Calcio, precisazioni sull'ingresso di Perpignano all'interno del  sodalizio matuziano - Spezia Sportale
Scorcio della Tribuna dello storico impianto di casa della Sanremese.

Imperia, Ventimigliese, Entella Chiavari, Albenga , Rapallo sono altre epocali società racchiuse in questo lembo di terra gentile , uno scrigno che calcisticamente parlando racchiude storie incredibili .

La partita .

Ne è passato di tempo da quel fatidico 5 Ottobre 2008, quando al Mirco Luperi di Sarzana si è compiuto il miracolo. Per qualche secondo si è improvvisamente fermato il battito dei 4’200 cuori ,che con incredulità hanno assistito a quell’ impresa . Entrata nella storia e rimasta indelebilmente nella testa di ognuno dei presenti.

Sarzanese e Spezia nel cerchio di centrocampo prima del fischio d’inizio

Non era mai accaduto e nessuno lo aveva previsto che la piccola provinciale incontrasse nel suo cammino il colosso “capoluogo” . Non è proprio questo forse il termine esatto, ma serve per definire una realtà ( quella della Spezia ) abituata a sedersi tra le grandi. Viziata da lussuosi palcoscenici e fin troppo convinta probabilmente , di assaporare un piatto non proprio all’altezza delle proprie abitudini.

La Spezia di fatto , si presentò ai nastri di partenza di quella stagione, reduce da un subbuglio societario non indifferente. Gli aquilotti , per l’occasione retrocessi dalla serie cadetta, hanno mantenuto vive le loro speranze fino all’ultimo giorno. Il fatidico, che ne annunciò il definitivo fallimento, dopo la mancata iscrizione alla terza serie italiana.

Si riparte dal basso , dai dilettanti, dove tuttavia non mancano all’appello realtà di rilievo che sognano un ritorno tra i professionisti. La strada verso la vetta si presenta tutt’altro che semplice. Considerato il fatto , che durante il cammino , le piccole avrebbero fatto di tutto per rendere la scalata ancora più dura.

Il giorno del derby arriva proprio in una soleggiata domenica di Ottobre. Non è un derby qualunque . E’ il derby ligure per eccellenza, uno di quelli che si giocano una volta nella vita. Un’occasione irripetibile che ancora una volta ripropone l’epiteto di Davide contro Golia. Lo stadio dei padroni di casa ospita il pubblico delle grandi occasioni, e per un istante sembra davvero che la clessidra del tempo abbia improvvisamente deciso di fermarsi al triplice fischio tra le mura del Mirco Luperi.

Le interviste: Davide Angelotti.

Per capire e ricordare nei particolari quella giornata, ho avuto il piacere di intervistare due protagonisti della Sarzanese.

Davide Angelotti, classe ’85,  attaccante. Ciao Davide ! E’ un piacere averti qua. Calcisticamente sei cresciuto nelle giovanili della Sarzanese, la società che ti ha poi anche lanciato nel calcio Professionistico.

Dopo alcune esperienze tra i professionisti appunto, (la più importante sicuramente quella a Como) torni nella stagione 2008/09 a Sarzana per disputare il campionato nazionale dilettanti. Ti chiedo, che effetto ti ha fatto  e quali emozioni si provano a giocare nella massima serie dilettante , difendendo i colori della propria città? 

Sicuramente è stato motivo di orgoglio soprattutto in un campionato come la serie D che può essere una bella vetrina per qualsiasi giovane che ha voglia di farsi di notare e che vuole provare la scalata verso il calcio professionistico.

Entriamo un po’ nel vivo della stagione in questione. Il girone A di Serie D,vede ai nastri di partenza alcune importanti realtà del panorama calcistico italiano che già negli anni precedenti avevano militato proprio tra i professionisti. Savona, Cuneo, Biellese e niente di meno che La Spezia ( per l’occasione retrocessa dalla serie cadetta  e mancata iscrizione al campionato di serie C. Ecco Davide, quali erano le vostre aspettative da società neopromossa?

Sapevamo che sarebbe stato un campionato complicato e difficile . Come hai detto precedentemente era un girone composto da realtà importanti che aspiravano alla vittoria del campionato e quindi all’ennesimo salto di categoria. La maggior parte di queste squadre era molto ben attrezzata ed aveva a disposizione giocatori di categorie superiori. Un esempio su tutti  un certo LULU’ OLIVEIRA che in quella stagione militava nelle file del Derthona. Noi siamo partiti con un obbiettivo salvezza naturalmente cercando di mantenere la categoria.

Senza dubbio un girone impegnativo ma i risultati vi hanno fatto consolidare un buon quarto posto a fine stagione, centrando tra l’altro un grande traguardo chiamato play off. 

Qual’è stata secondo te la forza o per meglio dire il segreto del vostro gruppo?

La nostra forza era data dal fatto che la maggior parte dei componenti di quella rosa erano amici anche fuori dal campo. C’era un legame solido tra compagni di squadra, quindi è stato tutto più facile. Era bello andare al campo ad allenarsi e non vedevamo l’ora di vincere la domenica per continuare la festa anche dopo la gara. E poi in fondo, sapevamo di essere forti, non presuntuosi ma ben consapevoli delle nostre qualità.

 Una derby season, se cosi si può definire a livello regionale proprio per l’alto numero di compagini liguri presenti. Tra queste Savona, Sestri levante,Novi ligure, Lavagna ma ovviamente con LA SPEZIA resta il più significativo ed il derby per eccellenza. Un derby vero , di quelli che capitano una sola volta nella vita ed ha naturalmente un sapore magico ed oggi aggiungerei , anche decisamente nostalgico. Ricordi qual’era il clima spogliatoio nel corso della settimana che vi avrebbe accompagnato a giocarlo, e come lo avete vissuto te e i tuoi compagni?

Personalmente , appena è uscito il calendario , sono subito andato a curiosare quando avremmo giocato con La Spezia. Noi abbiamo vissuto l’avvicinamento a quella partita con grande serenità e tensione positiva. Fondamentalmente non ci spaventava affatto l’idea di affrontare una società di quel blasone. Erano loro piuttosto che avevano tutto da perdere. Noi avevamo la possibilità di fare la storia per la Sarzanese. Fu un occasione più unica che rara e riuscimmo a batterli incredibilmente proprio davanti al nostro pubblico , in una cornice di circa 4200 presenti sugli spalti. E’ stata una grande giornata, indimenticabile!

Entriamo un po’ nel vivo della gara, Come ha preparato , il mister quel derby e cosa vi ha detto nello spogliatoio?

La preparazione della partita da parte del mister è stata molto tranquilla e serena . Come ho detto in precedenza erano loro che avevano tutto da perdere . Nello spogliatoio essenzialmente ci ha detto di pensare a divertirsi sgomberando la mente da qualsiasi tipo di tensione agonistica.

Il sapore di un derby che arriva una volta nella vita , in questo caso va gustato goccia dopo goccia. Consapevolezza dei propri mezzi e profilo umile sono fin da sempre gli ingredienti della combinazione perfetta. Credevate in quella vittoria già dal pre-gara o pensavate a come limitare i danni , visto la caratura dell’avversario?

La speranza è sempre quella di riuscire a vincere ogni singola gara , in particolar modo quando ti capita l’occasione “ghiotta” di un derby contro una squadra più blasonata di te. In quel caso, uno Spezia che veniva dalla serie cadetta, e che si era ritrovato a giocare contro di noi per la mancata iscrizione al campionato di Lega pro. Sicuramente sapevamo che in difesa dovevamo fare una partita ai limiti della perfezione limitando al massimo gli errori. Se poi si fosse presentata anche una minima chance di segnare, dovevamo naturalmente restar lucidi e cinici sotto porta.

Davanti a 4200 spettatori avete conquistato 3 punti e sopratutto la vittoria di un derby che storicamente parlando, ha un sapore del tutto nostalgico. Goal vittoria che tra l’altro arriva nella maniera più rocambolesca. Come un fulmine a ciel sereno dopo appena un minuto di gioco, si abbatte sugli aquilotti e butta all’aria i loro piani. In che momento della gara, tu e i tuoi compagni avete capito di poter raggiungere veramente quello storico trionfo?

Credo che verso l’ultimo quarto di orologio, abbiamo iniziato ad assaporare l’aria dell’impresa. Abbiamo fatto una gara di sacrificio in tutti i reparti tenendo testa alle loro incursioni. Non potevamo gettare tutto al vento, dopo tutti quei minuti già trascorsi. Con una prova di carattere, siamo riusciti a portarla in fondo ….poi è esplosa la festa.

Tifosi della Sarzanese festanti in tribuna

Il calcio tante volte da, altre toglie ma le grandi imprese restano stampate nel cuore della gente e di chi in particolare , come te, le ha vissute in prima persona.Che effetto ti ha fatto vincere il “derby dei derby” da protagonista?

E’ stato sicuramente un grande motivo d’orgoglio. Il bello del calcio è anche questo; si gioca e si comincia a giocare anche per vivere momenti come quelli  E’ vero,  e mi fa molto piacere che la gente ricordi ancora con un entusiasmo nostalgico quella grande giornata.

Ricordo quando in una delle nostre tante conversazioni, poco prima che decidessi di mettere tutto per iscritto , sorridendo mi dicesti: Molti pensano che il vero derby ligure sia quello della lanterna Samp-Genoa, ma in realtà il vero derby è SARZANESE-SPEZIA. Sai da questa tua affermazione, diciamo, ho avuto l’input decisivo per iniziare a raccontare di questa indimenticabile e nostalgica impresa. Guardando indietro al passato , quanto ti mancano quei giorni e soprattutto  quanto è realmente cambiato il calcio di oggi?

Assolutamente sì il vero derby è Sarzanese – Spezia e fortunatamente abbiamo avuto il piacere di vincerlo. Questo implica naturalmente una maggiore soddisfazione.

Di quel periodo mi manca molto il fatto di poter giocare per i colori della mia città , in un ambiente familiare e circondato da amici. Non sempre il luogo dove sei cresciuto si incrocia con le nostre passioni. Voglio dire, molti calciatori devono fare i km talvolta per aver la possibilità di giocare ad un certo livello. Per questo , mi ritengo fortunato , semplicemente perché giocavo a calcio seguendo le mie passioni, nella città che mi ha visto nascere . Per me è stato un onore vestire quella maglia in un derby di quello spessore.

Il calcio , credo sia cambiato tanto. Forse un po’ anche per colpa dei social. Talvolta anche sui social appunto, si tende ad esaltare fin troppo ragazzi che vantano un buon  profilo calcistico. E molti di loro finiscono per sentirsi arrivati.

Siamo alla domanda conclusiva, quella che ci porta diretti al termine di questa piacevole chiacchierata. Trattare questo derby in chiave nostalgica, ha sicuramente sollevato in me un enorme curiosità ed allo stesso tempo voglia di avvicinamento al mondo dilettante. Non sempre GOLIA prevale su DAVIDE. Non sempre il LUSSO luccica più del SOBRIO. E per finire non sempre il RICCO possiede più ricchezza del POVERO. Ci sono storie, come questa che ti appassionano e ti fanno capire davvero come lo sport sia un ottima palestra di vita. Il piccolo che prevale sul grande. Fa parte dell’imprevedibilità dei fatti. Della vita. Ecco DAVIDE, della tua esperienza e carriera calcistica hai qualche rimpianto? E quali suggerimenti daresti ai giovani di oggi nell’ottica di far capire loro che certi traguardi si conquistano solo con sacrificio, dedizione ma soprattutto con una bella dose di umiltà , quella che forse maggiormente manca oggi?

Mah rimpianti ? Non saprei. Credo che nella vita che viviamo , chi più chi meno , ma tutti abbiamo comunque dei rimpianti. Fare la cosa giusta al momento giusto è sempre complicato. A volte si riesce , altre no. La vita è equilibrio. Ci saranno sempre degli alti e bassi ma riuscire a galleggiare in questo equilibrio è il segreto della felicità. Provarci, fallire, cadere, rialzarsi poi piangere o gioire. Tutto gravita su di noi. Siamo i principali attori di questo cammino ed ognuno sceglie il proprio.

Una cosa l’ho imparata: se fai tutto per amore non sbaglierai mai. Fare scelte per amore e quindi passione , non vuol dire fare la scelta più facile. Con una metafora , spesso è dai sentieri più tortuosi che si scorgono bellissimi paesaggi. Quindi il consiglio che posso dare ai giovani atleti, è quello di provarci sempre fino alla fine. Con umiltà , sacrificio e consapevolezza dell’obbiettivo che si vuole raggiungere nella vita. Il resto non conta.

A colloquio con Alessandro Cesarini.

Ciao Alessandro! Piacere di conoscerti , sono molto entusiasta di cogliere quest’opportunità per intervistarti. Classe 1989, tu adesso militi a Piacenza dopo una lunga carriera , partita naturalmente dalla maglia e i colori della tua città: Sarzana. E’ proprio nella Sarzanese che inizi a dare i primi calci e di quest’ultima vogliamo parlare nel nostro articolo. In particolare di un derby storico che anche tu hai vissuto in prima persona nella stagione 2008/09 contro gli aquilotti della Spezia. Prima di addentrarsi nello specifico, vorrei però chiederti:

A che età hai cominciato a giocare?

Ciao Andrea , ti ringrazio tanto per questa bella intervista e per avermi dato modo di parlare e ricordare tanti momenti belli della mia carriera ,come quel periodo con la Sarzanese.
I miei genitori mi dicono che giocavo in continuazione a pallone fin da piccolissimo,con loro e specialmente con mio nonno Libero.

Per cui all’età di 4 anni mi portarono alla scuola calcio che però prevedeva l’inizio dell’attività da sei anni in su. Dopo qualche allenamento mi presero con i più grandi e da lì inizio’ ufficialmente la mia avventura nel calcio .

Cosa rappresenta per te da ieri fino ad oggi il calcio?

Per me il calcio rappresenta divertimento e passione e queste parole mi hanno sempre accompagnato,sia prima quando sognavo come tutti i bambini di diventare un calciatore e poi anche e soprattutto dopo,nella mia carriera. Anche un professionista non può e non deve mai prescindere dal divertirsi in campo per poter inseguire e raggiungere i propri sogni. Il mio obbiettivo è’ stato sempre divertirmi e far divertire la gente che viene allo stadio ovviamente cercando di vincere e segnare.

Nella carriera di un calciatore , fatta naturalmente di alti e bassi, si possono cogliere svariate sfumature che a seconda delle circostanze talvolta possono assumere diverse interpretazioni. La domanda che voglio rivolgerti è: hai sempre inseguito i tuoi obbiettivi e i tuoi sogni in modo costante, con determinazione, o ci sono stati momenti durante il cammino in cui hai pensato di mollare?

Grazie a dio ho vissuto tanti momenti belli,la maggior parte. Purtroppo c’e’ stato qualche momento brutto, per esempio ho dovuto subire tre operazioni in momenti importanti della mia carriera che in qualche modo la hanno condizionata. Ho avuto un operazione di ernia inguinale e altre due per la frattura di perone e caviglia. Sono stato fuori tanti mesi e non sono stati momenti facili,non ti nego di aver pensato anche di smettere a volte,ma la fede e la mia famiglia, in particolare mia moglie mi hanno aiutato tanto . Oltre ovviamente alla grande voglia che avevo ogni giorno di riabilitazione di poter tornare in campo ad esultare per un goal .

Che significato ha avuto per te vestire e difendere  i colori della città nella quale sei nato?

E’ stato sicuramente un orgoglio vestire la maglia della Sarzanese perché oltre ad essere la città dove sono nato e dove vivo e’ una società storica. Mi ha dato la possibilità di esordire in prima squadra all’età di 17 anni e la fiducia di cui avevo bisogno e che mi ha permesso di crescere ed esprimermi al meglio per poi approdare nel professionismo .

Raccontaci brevemente qualcosa sulla tua carriera nelle giovanili.

Da bambino giocavo nella squadra del mio paese che si chiamava Fo.Ce. Vara. Successivamente sono passato due anni in una squadra satellite dell’Inter per poi all’età di 13 anni arrivare allo Spezia Calcio (squadra di cui ero tifoso e che spesso andavo a vedere allo stadio) con cui ho fatto tutta la trafila nei vari campionati professionistici nazionali fino alla primavera.

Dopo alcune esperienze tra i professionisti appunto, militando proprio tra le fila degli aquilotti , approdi nella stagione 2007 nella Sarzanese, restandovi per un paio di stagioni. Com’è stato ritrovare i tuoi vecchi compagni, e soprattutto l’atmosfera di un ambiente di “casa” ?

Dopo un’annata bellissima trascorsa negli allievi dello Spezia è arrivato l’anno della Primavera . Fu un’annata un po’ travagliata, nella quale non mi trovai molto bene con allenatori e dirigenti. Quindi non senza un po’ di delusione , decisi di cambiare e accettare la chiamata della Sarzanese, che militava in serie D. Dopo un piccolo periodo nella juniores fui subito aggregato in prima squadra. Diciamo che fu un piccolo passo indietro ,ma che mi permise in realtà di farne tre avanti e di quel periodo ho solo ricordi belli. Un gruppo di amici che tutt’ora coltivo e di una realtà per cui provo grande gratitudine.

Cesarini in azione protegge la palla raddoppiato da due giocatori aquilotti.

Entriamo nel vivo della stagione da noi presa in considerazione. Annata 2008/09 ,il girone A di Serie D vede ai nastri di partenza alcune importanti realtà del panorama calcistico italiano che già negli anni precedenti avevano militato proprio tra i professionisti. Savona, Cuneo, Biellese e niente di meno che La Spezia ,per l’occasione retrocessa dalla serie cadetta  e mancata iscrizione al campionato di serie C . Tu personalmente come hai vissuto l’idea di affrontare un derby,  se cosi si può definire storico, contro una compagine che per lo più vantava un blasone nettamente superiore?

 Quell’annata fu per me quella della conferma, poiché venivo schierato da titolare e riuscii anche a realizzare 10 gol in stagione contribuendo al conseguente raggiungimento dei play off. Per quanto riguarda il derby ricordo che furono emozioni incredibili e contrastanti perché da un lato , avevo la voglia di dimostrare che forse si erano sbagliati a lasciarmi andare qualche anno prima, dall’altro l’emozione di un ragazzino tifoso dello spezia da sempre, che si apprestava a giocarci contro ,perlopiù davanti a quasi 5 mila persone.Una cornice di pubblico mai vista a Sarzana , fu motivo di orgoglio e dunque una giornata davvero storica.

Partita che sicuramente è rimasta impressa nel cuore dei tifosi e in quello di chi come te l’ha vissuta in prima persona. Cosa ricordi di quel post gara, e quali emozioni si provano ad uscire vittoriosi dal derby dei derby ?
Ricordo il riscaldamento pre gara quasi surreale per le tantissime persone presenti a cui non eravamo abituati. L’emozione di giocare davanti a familiari, parenti, amici e tantissimi sportivi sarzanesi . Si respirava l’attesa e l’adrenalina delle grandi occasioni. Ricordo il mio ingresso in campo,una bella azione in cui ho sfiorato il gol e poi soprattutto la festa finale nello spogliatoio.

Momento dell’ingresso in campo di Ceasrini.

Se ti voltassi indietro adesso, in questo esatto momento, ti accorgi di quanta strada hai percorso dalla vittoria di quel fatidico derby. Ecco ti capita mai di sentire nostalgia di quei giorni e qual’è la cosa che più ti manca ?

Sicuramente se mi voltassi indietro di strada da quel derby ne ho percorsa tanta nel calcio e questo non può che farmi piacere. Nella mia carriera , ho giocato più di 400 partite e fatto 112 gol. Ma sicuramente quello che in questo momento forse mi manca di più di quel periodo bellissimo e’ la spensieratezza e la freschezza fisica che mi permettevano di non pensare a nient’altro al di fuori del calcio. Affrontato sempre col sorriso e tanta voglia di divertirsi .

Hai ancora contatti con gli ex compagni di quella Sarzanese e vi è capitato di ricordare , parlando, aneddoti dello storico trionfo?

Si, certo . Due dei miei migliori amici facevano parte di quella Sarzanese e siamo in contatto giornaliero, quindi spesso durante le nostre cene ricordiamo quegli anni. Aneddoti ed emozioni che rimarranno indelebili per sempre nei nostri cuori. Lo stesso stadio Miro Luperi per noi e’ un posto familiare a cui siamo particolarmente legati .

Siamo giunti alla fine di questa piacevole conversazione, e naturalmente non sai quanto piacere mi abbia fatto poterti intervistare. Il calcio, come la vita,  a volte da e altre toglie. E’ sempre importante però continuare a “lottare” con dedizione, perseveranza ed umiltà. Soffermandoti su questa mia ultima riflessione, in particolare dal punto di vista dell’umiltà , ritieni che il calcio di oggi sia cambiato in meglio o in peggio?

Hai assolutamente ragione. Penso che queste prerogative non debbano mai mancare. Il calcio sicuramente e’ cambiato rispetto a quando ho iniziato a giocare. Per esempio prima per far sì che un giovane esordisse o arrivasse solo ad allenarsi con la prima squadra doveva essere davvero fortissimo e meritarsi questa opportunità in campo ma soprattutto fuori. Adesso le regole sono cambiate e favoriscono in modo anche troppo facile e veloce l’approdo di tanti giovani ,che probabilmente a volte non sono ancora pronti. Credo che il livello si sia un po’ abbassato rispetto a dieci anni fa. Ci vorrebbe un po’ più di equilibrio ma il calcio e’ così bello che regala emozioni che nessun altro sport a mio parere può regalare e questo rimarrà per sempre. Sicuramente per arrivare a certi livelli e restarci più a lungo possibile, c’è bisogno di tanta passione, voglia di sacrificarsi ogni giorno per migliorare e provare a realizzare i propri sogni .

Diego armando Maradona : L’inarrivabile leggerezza dell’essere.

De qué planeta viniste…?

Così recitano le intramontabili parole di Victor Hugo Morales , el relator, l’uomo che più di tutti lo ha cantato ,portandolo in alto, lassù tra le divinità del calcio.

Forse non è neanche troppo corretto affiancarlo a qualche ente supremo , ma è bensì logico pensare che Diego su quel piede sinistro fosse stato baciato da una qualsivoglia forma di perfezione. Quando certe giocate riesci a pensarle prima di metterle in atto, esattamente come quella incredula “Mano de Dios” , davanti agli occhi del pianeta,  allora è anche del tutto chiaro che dal talento si passa al genio.

L'arbitro della "mano de Dios": "Orgoglioso e onorato" | News -  Sportmediaset
La celebre Mano de Dios , con la quale Maradona regalò il vantaggio all’albiceleste nell’incontro con gli inglesi.

Il ricco di talento realizza alla perfezione quello che è già stato inventato, mentre il genio inventa cose che non esistono.
Un ricco di talento risolve cose difficili e può farlo in modo brillante.
Il genio dal canto suo, risolve quello che nessun altro può risolvere. Risuonano ancora nelle orecchie di mezzo mondo le parole pronunciate dallo storico commentatore uruguaiano nella partita contro gli inglesi al mondiale 1986 :

Genio , genio ,genio  ta , ta ta , ta …”

Quasi a scandire una sinfonia ritmata, in quella che fu la giocata del secolo.

Maradona Retro Pics (@MaradonaPICS) | Football images, Diego maradona,  Retro pictures

Maradona è stato un incredibile generatore di sorprese, uno straordinario artefice dell’insperato, del diverso. Eppure il calcio ne ha conosciute di sinfonie, ma quella di Diego ha suonato e continua a risuonare in ogni angolo del globo.

L'ultima intervista di Maradona: “A volte mi chiedo se la gente continuerà  ad amarmi” - Il Riformista
Maradona alza al cielo la Coppa del Mondo 1986 , allo stadio Azteca di Città del Messico.

C’è chi ancora non riesce a credere che uno dei profeti del calcio ci abbia improvvisamente lasciato. Lo ha strappato alla vita un improvviso arresto cardiaco , nella sua casa di Tigre , dove da qualche giorno si trovava in convalescenza, in seguito ad un operazione alla testa.

Morte Maradona, il corpo di Diego trasferito per l'autopsia | LaRampa.it
Residenza di Diego nella città di Tigre , nella provincia di Buenos Aires.

La sua amata Argentina continua ad asciugare lacrime in ginocchio, in un momento del tutto delicato al quale fa da sfondo una terribile situazione pandemica. Oltreoceano invece , a Napoli, in quella fetta d’Italia che per Diego ” perdiò la cabeza”, seppur in piena emergenza virus , non si è potuto fare a meno di rendergli omaggio riuniti sotto ad una sua gigantografia Murales .

Maradona morto nel sonno: le ultime ore dal malore ai soccorsi

Forse anche qualcosa di più, perché El Pibe de oro del resto era un argentino col cuore napoletano. A tal punto che si è perfino deciso di intitolargli uno stadio. Il San Paolo ( probabilmente ribattezzato Diego Armando Maradona Stadium) tempio calcistico che ha ammirato le sue funamboliche giocate ed ha visto festeggiare due scudetti ed una coppa Uefa ad una città intera.

Il Napoli di Maradona il 10 maggio 1987 vince il primo scudetto della sua  storia - PeriodicoDaily Sport
Braccia al cielo per Diego Maradona , nella festa scudetto del Napoli 1987 .

Un personaggio pieno di contraddizioni, dal quale però è praticamente impossibile scindere l’uomo dal giocatore. Due facce della stessa medaglia.Un genio sul rettangolo, che imprestato ad uomo non del tutto solido, svaniva per lasciar spazio ad una fragilità piena di vizi davanti alla vita.

Di lì le numerose bravate,  la dipendenza da cocaina che ne limitarono la carriera. E lui forse lo aveva accettato. Una sorta di auto condanna mentre provava a far pace con se stesso.  Un tunnel dal quale in realtà non è mai uscito. Quell’urlo liberatorio davanti alle telecamere nel mondiale americano, prima dell’imminente squalifica per doping, divenuto ben presto il crocevia tra il campione e il fallimento.

Jugó, venció, meó, perdió: auge y ocaso de Diego Armando Maradona en  Estados Unidos
L’urlo spiritato del Pibe de Oro , dopo aver segnato nella gara contro la Grecia ad Usa ’94

Ci sono domande , alle quali tutt’ora è difficile trovare una risposta, ma che Diego facesse cose mai viste prima con la palla , lì non ci piove. Come quella fatidica punizione nell’area juventina, dove segnare , davanti al ravvicinato muro bianconero, sembrava tutt’altro che facile. Bastò una leggiadra  carezza alla sfera, con quel sinistro fatato per mandare in delirio i partenopei . Ed ecco che l’impossibile era reso possibile.

La magistrale punizione di Diego contro i rivali bianconeri.

Difficile giudicare e fare paragoni con l’antagonista Pelé , per stabilire quali dei due sia stato effettivamente il calciatore più grande di tutti i tempi. Malgrado le epoche diverse , Diego sul rettangolo ha fatto cose impossibili, che nessuno mai saprà mostrare. Proprio questo forse, spingeva tutti noi bambini , dentro a quel sogno chiamato Diego Armando Maradona, mentre cercavamo di emularne le gesta , con ” la diez” sulle spalle.

Maradona, il prezzo dei ricordi: la sua maglia del Napoli all'asta per  10mila euro - la Repubblica
Diego Maradona con la maglia del Napoli sulla sx e Pelé sulla dx .

Intere generazioni che hanno tramandato il suo nome attraverso il calcio. E questo è quanto basta per coltivare il ricordo di un genio del pallone, un fuoriclasse, che più di altri è riuscito a scrivere una delle più incredibili pagine di storia di questo gioco . E’ davvero stupefacente intuire , come certe icone dello sport , campioni , riescano ad entrare nel cuore della gente e raccogliere un così alto numero di consensi. Nel caso di Diego lasciamo che il mistero prosegua.  

Maradona: murales, graffiti e vignette in ricordo di Diego | Sky Sport
Un Murales che rende omaggio al Pibe de Oro a Buenos Aires , in Argentina.

“O’Baixinho”: il figlio del vento verdeoro.

Introduzione.

Quando estro e fantasia diventano un corpo unico. Quando il calcio passa dall’essere giocato al sembrare ballato, la prima interpretazione per gli amanti di questo sport porta tra le favelas e i campetti di periferia brasiliani. Dove la povertà svergogna le diseguaglianze generate dalle spropositate ambizioni dell’uomo, dove un pallone diventa, anche la notte, l’unico compagno di cuscino, nella speranza che un sogno un giorno possa cambiare una durissima realtà. Qui spesso risiede la culla dei più grandi fuoriclasse del panorama calcistico mondiale.

“Puoi togliere un uomo dalla favela, ma non puoi togliere la favela da dentro a quell’uomo” recita un vecchio ed amaro proverbio brasiliano: bambini su strade degradate, un pallone e un sogno nel cassetto fanno da contorno ad una nazione,  più che mai al centro dell’universo calcistico.

Un paese sconfinato, quasi ossessionato dall’ intento di dare al mondo un’immagine che rimuova la cruda realtà delle favelas. Veri e propri quartieri ,talvolta pressoché invalicabili persino di giorno, dove i bambini familiarizzano fin da piccoli con il rumore delle armi ed il pallone , quasi fossero le facce di un’inevitabile medaglia che rappresenta la loro vita.

Così le gesta leggendarie dei campioni , riecheggiano nella storia di una Seleção che è partita dalle favelas per salire e restare per decenni sul gradino più alto del mondo del calcio. Oggi la nazionale brasiliana,  è quasi totalmente rinnovata ed imperniata su giovani di enorme talento, gran parte dei quali già ingaggiati in Europa. Ma questa è tutt’altra storia.

Un bimbo prodigio alla conquista del mondo.

Nato il 29 gennaio 1966 a Rio de Janeiro , Romário de Souza Faria meglio noto col soprannome di ” O’Baixinho ” per la sua minuta statura, cresce nel difficile Bairro di Jacarezinho, una delle peggiori favelas di Rio . L’amore a prima vista per il pallone parte dallo street soccer in salsa brasiliana, formato di gioco che comporta confronti da 1 contro 1 , a 4 contro 4 .Dopo i primi calci  su campo a 11 nella squadra dell’Estrelinha di Vila de Penha, una società fondata dal padre , approda nelle file juniores dell’ Olaria per poi passare al Vasco da Gama  nel 1985.

Bebeto (Flamengo) e Romário (Vasco da Gama) | Futebol, Futebol vintage,  Lendas do futebol
Romário con la maglia del Vasco de Gama e il con-nazionale Bebeto con quella del Flamengo (1985).

E’ l’inizio di una stupenda pagina di storia per la società e il brasiliano , che porta subito in dote due campionati , oltre a laurearsi miglior goleador assoluto della competizione. Un personaggio assai complesso che rispecchia nell’animo i mille volti della sua terra. Un mix di talento e contraddizioni . Amante del gol come degli eccessi. Bizzoso e indomabile per molti allenatori , una vera e propria sentenza per i portieri. Basso di statura, ma forte fisicamente e inarrestabile nello scatto, Romário possedeva tutte le qualità dell’infallibile cannoniere: il dribbling stretto, per non parlare delle celebri ” Colas de Vaca” ed un’innato senso del goal che lo hanno reso uno dei più incredibili “falchi da area di rigore” di tutti i tempi.

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La famosa “Cola de vaca” di O’Baixinho nel Superclásico . Gesto tecnico di alto livello.

Numeri, goals ed un prodigioso talento lo portano alla corte del PSV nell’Estate del 1988 dove si accasarà per ben 5 anni vincendo tre scudetti, 2 coppe nazionali e una Supercoppa olandese. Fu però con la nazionale olimpica che si rivelò al mondo. Precisamente alle Olimpiadi di Seoul ’88. Il Brasile si trova ai nastri di partenza con una rosa che puntava tutto sulle giovani promesse. Attorno a Romario ,fulcro di quella nazionale, fu allestita una formazione di eccellente livello tecnico, che schierava tra i pali un certo Claudio Taffarel,  il laterale Jorginho e in particolare l’altro gemello del goal: Bebeto.  

Tuttavia a Seoul , i verdeoro dovettero accontentarsi dell’argento a discapito di una più compatta e inarrestabile Unione Sovietica.  Chi fu il capocannoniere , naturalmente non sto a specificarlo. Show de bola o’ Baixinho!

Romario: la leggerezza dell’inarrestabilità.

Sbarcò in Europa nell’estate del ’88, accasandosi alla corte dei freschi campioni europei in carica: Il PSV Eindhoven. Deliziò i palati degli appassionati, con una prestazione sublime in coppa intercontinentale, sfumata contro gli avversari del Nacional Montevideo. Venne convocato in nazionale per la Coppa America ’89 . La Seleção a corto di titoli dal 1970 non poteva sbagliare. Ancora una volta Romario si conferma “uomo decisivo” beffando gli uruguaiani con un infallibile colpo di testa, nella cornice di un Maracanà gia’ vestito a festa.

Il mondiale di Italia ’90 era a portata di convocazione , ma un brutto infortunio, gli impedì di giocare . Per lui solo 65 minuti contro la Scozia nella fase iniziale, prima di assistere dalla panchina all’eliminazione verde oro ad opera dei diretti rivali argentini.

90s Football on Twitter: "Romario, Italia '90.… "
Romário durante una fase di gioco di Brasile – Scozia al mondiale di Italia ’90.

O’Baixinho è nel pieno della sua forma e continua la sua crescita in modo esponenziale. A tal punto che i grandi club bussano alla sua porta per arricchire le loro bacheche. Ci provò anche il Milan , una delle più forti formazioni dell’epoca. Ma alla fine , fu il Barcellona ad aggiudicarsene le prestazioni. In blaugrana Romário visse senza dubbio la parentesi più esaltante della sua carriera. Dopo essersi laureato campione di Spagna nel ’94 , prese in mano le redini della squadra trascinandola fino all ‘atto finale della Champions league, dove affrontò proprio i diavoli rosso- neri guidati da Capello. I giochi non andarono come previsto. I tatticismi del gioco capelliano , imprigionarono nella morsa la fantasia dei blaugrana.  O’Baixinho braccato da Maldini e Galli non riusci a finalizzare.   

USA 94: IL MONDIALE DELLA CONSACRAZIONE.

Romario, uno dei migliori marcatori della storia

Un mondiale pieno di strane vicende. Dalla squalifica di Diego per doping , alla tragica morte del difensore colombiano Andrés Escobar per aver causato l’eliminazione dei Cafeteros . Ma fu sopratutto il mondiale dei verde oro e della coppia Bebeto- Romário .  O’Baixinho , rappresentava del resto una delle stelle di quell’edizione  insieme ai vari Roberto Baggio, il bulgaro Stoichkhov e non poteva deludere le aspettative. Ando’ a segno con Russia, Camerun e Svezia nel girone eliminatorio. Poi lascio’ spazio all’amico Bebeto negli ottavi , contro i padroni di casa degli Stati Uniti,  per tornar di nuovo protagonista nel 3-2 rifilato all’Olanda con uno spunto da autentico predone dell’area di rigore. Come se non bastasse, in semifinale, un’altra sua celebre capocciata permise al Brasile di aver la meglio sugli Svedesi centrando la meritata finale. Quello che accadde nel forno del Rose Bowl di Pasadena quel 17 Luglio, tutti ce lo ricordiamo. Quei “maledetti” rigori sancirono il trionfo dei brasiliani , e forse lassù tra gli dei del calcio qualcuno lo aveva già scritto.  

1994 FIFA World Cup™ - News - Romario: We made a downtrodden nation  ecstatic - FIFA.com
Romário con la bandiera della Seleção , durante i festeggiamenti ad Usa ’94.

Ritorno in patria.

A seguito dei rilevanti disaccordi con il tecnico Crujiff, Romário ruppe con il Barcellona e torno’ in Brasile. Approda al Flamengo dove però fece più notizia per la condotta della sua vita sregolata,  che per le grandi prestazioni agonistiche. Menomale ci pensava la Seleção a farlo sentire il campione di sempre.  Nel 1997 conquistò infatti a suon di gol la Coppa America e la FIFA Confederations Cup, vincendo così tutto ciò che era possibile a livello di Nazionale maggiore. In coppia con il giovane Ronaldo, si preparò a dare un nuovo assalto al titolo mondiale, ma un brutto infortunio muscolare alla vigilia di Francia ’98 tolse agli appassionati la gioia di poter ammirare il tandem offensivo più brillante in circolazione.

Il sopraggiungere degli anni 2000 portò stimoli per il raggiungimento di nuovi obiettivi. Uno su tutti, centrare la 1000 esima  rete in carriera. O’ Baixinho rientra nel vortice dei trasferimenti . Dal Vasco al Fluminense , poi in Qatar per finire addirittura a Miami ed in Australia. Il sogno si avvero’ il 20 Maggio 2007 realizzando con la maglia del Vasco il fatidico ” Milésimo” su rigore .

Po tisícom góle zažil Romário karneval na Copacabane - MS Futbal 2014 -  Majstrovstvá sveta vo futbale 2014 v Brazílií - Šport - Pravda.sk

Un personaggio, un atleta pieno di contraddizioni ma al tempo stesso uno dei maggiori esponenti del calcio verde oro. Chi ha avuto la fortuna e il piacere di vederlo giocare, ancora oggi lo ricorda per quella rapace propensione al goal. Per quella sua eccentrica voglia di emergere e improvvisamente uscire di scena perdendosi tra i vizi di una vita sregolata. O’ Baixinho sul campo , oltre che Samba e Saudade è stato l’emblema della voce delle favelas e di chi non dimentica le origini di un passato , sfuggito a dolore e delinquenza.

Stagione 2007/08: La favola del Calcio montebelluna con gli allievi nazionali.

1.Introduzione.  

Fin da sempre grande appassionato di calcio. In particolare delle storie romantiche che nascono all’interno del suo contesto.

Ritengo che il concetto di squadra abbia origine e si sviluppi in età fanciulla, dove valori sani del mondo del pallone come il divertimento ,l’attaccamento alla maglia e la correttezza con l’avversario rappresentano facce della stessa medaglia. Per questa ragione, coltivo l’idea che il settore giovanile,svolga  all’interno del profilo società, una funzione di vitale importanza. Qui, forse non è del tutto errato provare a fare una similitudine, accostando il suo concetto a quello di  “nido”.  Il settore giovanile del resto rappresenta una sorta di nicchia nel quale ogni piccolo atleta cresce, matura per poi imparare  a “volare “coltivando sogni ben più grandi, senza tralasciare naturalmente il passato e i ricordi di un’infanzia piena di storie incredibili. Come già  sostenuto in uno dei miei articoli precedenti, dedicato al calcio di strada, tengo a ribadire di fatto , che oggi il settore giovanile costituisce l’ultimo baluardo del calcio inteso come puro divertimento. Uno scrigno che rivela e conserva nel tempo imprese e trionfi, che solo chi li ha vissuti, porta nel cuore quell’inenarrabile emozione che di tanto in tanto riaffiora e ti spinge a ricordarli .

Dilettanti e professionisti a confronto.

La storia che mi appresto a narrarvi si svincola totalmente da quella sfera calcistica che racchiude fama e notorietà. E’una storia che viaggia dentro la storia. Per una volta è giusto raccontare dell’impresa di Davide , piuttosto che della grandezza di Golia.

Ha un sapore magico, perché tuttavia deriva dalla volontà di confrontarsi , mettersi in gioco con realtà più blasonate, dalle quali apparentemente , secondo i pronostici, hai solo da imparare. Si parla della piccola che per la prima volta si siede al tavolo delle grandi e con fare umile si appresta a degustare piatti mai visti prima.

Però tutti lo sappiamo, la vita come lo sport manifestano durante il cammino , ostacoli e imprevisti. E’proprio quando , riesci ad affrontarli con la volontà di costruire, abbinando una giusta dose di determinazione e pragmatismo, che le difficoltà si trasformano in coraggio. Cosi le piccole storie diventano bellissime favole. La piccola dilettante si è accomodata al tavolo dei grandi professionisti e con la massima umiltà, ha voluto ricordar loro che si può sempre imparare tutto da tutti. Sopratutto quando si naviga in mare aperto e non basta un’ancora per tenere a galla le certezze.

Le storie romantiche che gravitano attorno al mondo del calcio, hanno sempre un sapore nostalgico per quel ricordo dolce e malinconico di chi le ha vissute. Se ci sei dentro, ti accorgi che le parole di chi racconta suonano alle tue orecchie come una grande impresa e  non fanno altro che dissetare l’animo e la mente di meraviglia e  grandiosità . La giusta dose di follia che alimenta  in qualche modo “il gap” tra sogno e realtà , è l’ingrediente segreto per implementare la consapevolezza che l’impossibile tal volta , può diventare possibile. Che le piccole storie possono diventar grandi .

A Nord del Calcio.

Per entrare nel vivo di questa bellissima favola, bisogna spostarsi al settentrione. Un po’ più a nord del pianeta calcio e al confine con la storia. Siamo in Veneto , precisamente nella provincia di Treviso. Con curiosità, ci addentriamo , all’interno di una cittadina che vanta un profilo storico di rilevanza , considerata la posizione geografica strategica. Situata all’imboccatura della Valle del Piave , collegamento tra la pianura e l’area pre-alpina, la città di MONTEBELLUNA ha svolto un ruolo di fondamentale importanza nella fase produttiva, fin dagli albori della sua nascita. Città di frontiera, che faceva dell’artigianato ( in particolar modo nel secondo dopoguerra) il suo punto di forza tanto da diventare negli anni ’80 e ’90 una delle aree più ricche d’Europa , nonché capitale della calzatura sportiva. E forse allora non è poi così difficile intuire che tra questa città e il mondo dello sport sia sempre esistito un filo conduttore che li lega. Più in generale potremmo comunque pensare, che il Veneto in sé e per sé, conservi dal punto di vista storico-sportivo una cultura più raffinata rispetto al profilo di altre regioni. Non è un caso infatti che nel dicembre 2015 , in collaborazione con l’università di Verona , proprio qui a Montebelluna, nel museo di Scienza e Archeologia, si sia svolta un’importante mostra internazionale volta ad esaltare il complesso rapporto tra scienza e sport. Lo sport in Veneto rappresenta una base solida della società, una cultura affermata a livello nazionale che ha contribuito nel tempo a dar voce ad uno sviluppo ed una diffusione mondiale. Se ci pensate bene, non è neppure un caso che le migliori realtà sportive siano appunto venete. Pensiamo al basket, con la Reyer Venezia ( 8 titoli nazionali) oppure al rugby con la Benetton Treviso (vincitrice di ben 15 scudetti ), o addirittura al calcio dove la regione è stata rappresentata negli anni da ben 6 società diverse nella massima serie: Chievo Verona, Hellas Verona, Padova ,Treviso, Venezia e Vicenza. Allora forse , dopo questo quadro,non impiegherete molto a capire perché da un po’ di anni a questa parte,  anche i miracoli sportivi hanno deciso di abitare in questa terra.

Montebelluna calcio: un passato che vive nel presente.

Calcio Montebelluna - Scheda Squadra - Veneto - Giovanissimi Elite - Girone  B - 2016-17

C’è bisogno del passato per vivere il presente e pensare al futuro. Proprio così,  il profilo storico ha sempre un impatto rilevante nel cammino e nel successo che verrà. Si parte dal vissuto per costruire un tempo attuale che abbia fondamenta solide. Ma sembra ormai una rarità, in questa epoca contemporanea, pensare che modestia e perseveranza siano di fatto le componenti fondamentali per affrontare certi tipi di sfide e confronti. Colpa dei media e più in generale , di una modernità che corre veloce e imbocca scorciatoie , senza lasciar spazio ai sani valori di principio. E’ quando però decidi di seguire le strade più tortuose e piene di insidie , che il paesaggio allora,  si apre agli occhi come non lo hai mai visto.

La storia del Montebelluna calcio, non è una storia come le altre. Per il semplice fatto che la società coltiva un’importante tradizione calcistica in Veneto sia dal punto di vista storico, che da quello giovanile. Si parla infatti di uno dei vivai dilettantistici più fiorenti sia in regione che nel palcoscenico nazionale. Da ormai svariati anni , la società prende parte con le squadre del proprio settore giovanile (allievi, giovanissimi) alle finali italiane dilettanti. Sono ben sette gli scudetti tricolori cuciti sulle maglie del settore giovanile bianco celeste dal 1975 . Frutto di un lavoro e di un’intensa dedizione che hanno portato ad importanti risultati sia sul campo che nei singoli. Ogni anno infatti sono svariati i giovani talenti che partono dal “monte” per raggiungere i grandi club nazionali. E se il buongiorno si vede dal mattino, verrebbe da pensare che non tutti i miracoli allora avvengono per caso. Perché semplicemente, in storie come questa, vi è racchiusa una celata volontà di incontrarli.

Stagione 2007/08,  dai dilettati agli Allievi Nazionali: La favola dell’annata ’91.

Ricordo perfettamente, da ragazzo, quella forte sensazione di curiosità mista ad euforia . Per svariate estati l’ho respirata sotto il sole cocente di Luglio ,mentre attendevo impaziente notizie di calciomercato, novità sui campionati o più semplicemente quel colpo di scena che spesso arrivava quando eri impegnato a fare tutt’altro. Del resto trovo che non ci sia citazione più azzeccata di quella del celebre filosofo e scrittore tedesco Gotthold Lessing :

“L ‘attesa del piacere è essa stessa il piacere”.

Nel frattempo l’oggetto sferico ovviamente continuava ad esser il mio miglior amico anche nei lidi balneari e se avessi potuto lo avrei portato perfino sotto le coperte. Fantasticavo e sognavo, come tutti i giovani atleti, su ciò che sarebbe stato, cosa mi avrebbe atteso e soprattutto quali novità avrebbero avviato ed accompagnato il nuovo anno. E’da queste breve parentesi e riflessione, che voglio partire per raccontarvi la favola dei ragazzi del Montebelluna. 

Correva la calda estate del 2007. I campionati erano già andati in ferie lasciando spazio a spiagge assolate, mare e trekking sulle Alpi. Cosi mentre gli atleti, respiravano una boccata di libertà, dalla quotidianità e gli impegni settimanali , gli addetti ai lavori a piccoli passi preparavano la stagione successiva.

Quell’Estate fu la Federazione a cambiare le carte in tavola. Tra le novità introdotte, ve ne fu  una che, da un lato destò il pieno stupore dei club professionisti, dall’altro mandò letteralmente in delirio il mondo dei dilettanti. Era chiaro , che trattandosi appunto di una nuova sperimentazione,  si dovesse in un certo senso stringere il cerchio e rendere questa novità un’assoluta “limited edition”. Quindi fu concessa la possibilità ,a tutte le società che in Italia partecipavano ai campionati nazionali di Serie D, di iscrivere le proprie giovanili ( nelle categorie Giovanissimi e Allievi) ,ai campionati nazionali professionisti. Un importante scelta e scommessa che avrebbe permesso alle “New entry ” il confronto con società titolate di Serie A e B.

 Non era mai accaduto, e probabilmente non si ripeterà, dopo che a seguito di quella stagione, alcune società blasonate di livello professionistico hanno esposto vigenti lamentele al Comitato sportivo Nazionale. Furono portate in questione presunte figuracce legate ai risultati, che in un certo senso , a detta loro, ne avrebbero compromesso l’immagine. Se però rovesciamo la medaglia dall’altro lato, più che figuracce e demeriti, si potrebbe bensì parlare di umiltà e merito da parte delle giovani dilettanti. Molte di queste, hanno saputo inserirsi egregiamente in un campionato , a loro del tutto sconosciuto e molto impegnativo, senza che le differenze ,di fatto si facessero notare fin troppo. Ben poche invece e forse il solo MONTEBELLUNA CALCIO è riuscito nell’impresa di scrivere una delle più belle pagine del calcio giovanile dilettante. 

Una stagione da incorniciare.

Da quando ci siamo incuriositi di questa bellissima pagina calcistica, abbiamo deciso per una volta di lasciare da parte il calcio che conta .  Siamo voluti andare fino in fondo ad un capolavoro che non è passato inosservato ma che sicuramente non tutti ricordano. Quello che è certo , è che, chi l’ha vissuta ancora oggi la ricorda con una miriade di emozioni nel cuore e un sorriso nostalgico stampato sulle labbra. Perché dopotutto quando ti affacci dal balcone delle grandi imprese, ne esci consapevole che ogni momento lasciato alle spalle, diventa incredibilmente un pezzo di storia . Qualcosa di cui vale la pena sedersi e raccontare. Quale miglior modo, se non quello di passare proprio attraverso le parole di alcuni dei protagonisti che hanno cavalcato l’entusiasmo di quella stagione ?

Le interviste: Il mister,Carlo Osellame.  

Cosi abbiamo deciso di entrare a colloquio con il mister Carlo Osellame, cittadino montebellunese ed ex centrocampista in serie A con la maglia del Cagliari dal 1979 al 1982 dove collezionò 75 presenze e 5 reti . Osellame passò poi nella stagione 1982-1983 alle file dell’Atalanta, con la quale giocò sei partite in Serie B , prima di essere ceduto nella sessione autunnale del calciomercato al Modena in C1.  Dall’Ottobre del 1982 al Giugno del 1984 militò quindi con i modenesi, dove siglò due reti in 57 incontri, prima di tornare nella sua squadra originaria, il Montebelluna. Attualmente responsabile scouting di quest’ultima, dopo varie esperienze da allenatore , sia nei dilettanti che nei professionisti. Dallo Schio in serie D ,agli allievi nazionali del Cagliari fino alla Primavera del Treviso . Senza ovviamente tralasciare le giovanili del Monte con le quali ha vinto ben 3 titoli italiani nelle categorie allievi e giovanissimi.

Buongiorno mister , quando si ricordano imprese e scalate come la vostra fa sempre un certo effetto , emotivamente parlando. Stagione 2007/08 lei è alla guida degli allievi del Montebelluna calcio ,che si prepara ad affrontare il campionato nazionale professionisti. All’inizio di quella stagione quali erano le sue aspettative e quelle della società , per quel tipo di campionato ?

Essendo una squadra dilettante e giocando per la prima volta con i professionisti, ci eravamo prefissati di fare un campionato dignitoso. E’ logico pensare che loro avrebbero dovuto avere qualcosa in più di noi. Ma partita dopo partita con l’arrivo di alcuni importanti risultati , abbiamo preso fiducia e abbiamo dimostrato di giocarcela alla pari , raggiungendo il secondo posto a fine stagione e coronando un sogno per i ragazzi e la società.”

Avrebbe mai pensato di raggiungere le finali nazionali a cospetto di realtà professionistiche più blasonate?

“No, Assolutamente. Le ripeto, per noi fare un campionato dignitoso, significava puntare ad un piazzamento da metà classifica in giù , evitando figuracce e soprattutto l’ultima posizione del girone”

Il vostro gruppo era formato interamente da ragazzi del mondo dilettante, pensa che questo possa aver in qualche modo, influenzato il cammino del vostro campionato , soprattutto ai fini della classifica ?

Il gruppo era formato totalmente da ragazzi cresciuti nel nostro settore giovanile , questo a testimonianza del buon lavoro che, con i giovani, ogni anno la società svolge. Essendo tuttavia un campionato allievi, non vi erano fenomeni. C’erano delle squadre dove si distingueva naturalmente qualche buon giocatore, come del resto anche noi avevamo. Però, ecco,  glielo dico in tutta onestà ,noi non abbiamo mai avuto timore di nessuno. ”

Al suo arrivo, quali valori ha cercato di trasmettere allo spogliatoio al fine di un gruppo più coeso?

Niente, ho sempre detto ai ragazzi di giocare con tranquillità senza mai aver timore di nessuno. Ognuno doveva dare un contributo alla squadra, giocando al massimo delle sue possibilità. Se poi l’avversario si dimostrava  più forte , eravamo pronti a dargli la mano. Tutto là il discorso.

Aveva un modulo di preferenza, che maggiormente adottava e per il quale , secondo lei ,la squadra girava meglio?  

Indipendentemente dall’avversario che avevo di fronte , che fosse la squadra di serie A o serie C,non cambiava niente e giocavo sempre con il solito modulo. Adottavo un 4-3-1-2.

Ecco, visto che adottava questo modulo, mi viene spontaneo chiederle , cosa ne pensa della figura del trequartista?

E’in realtà un centrocampista aggiunto. Il centrocampista più avanzato dei tre,quello dotato di maggior fantasia. Figura che oggi è quasi del tutto scomparsa a causa dei numerosi tatticismi che vincolano il calcio moderno dove si predilige la fisicità.

Quante volte a settimana vi allenavate e quale aspetto curava maggiormente nelle sessioni settimanali?

Ci allenavamo 3 volte a settimana. Noi del Montebelluna , la prima cosa che guardavamo in un giovane era l’aspetto tecnico. Se sei più bravo tecnicamente, gestisci meglio la palla , soprattutto nel possesso e fai correre gli avversari a vuoto. Quindi ribadisco la tecnica a livello di settore giovanile era la componente fondamentale. La tattica poi veniva di conseguenza.

Eravate insieme a Sacilese e Montecchio Maggiore le nuove matricole del campionato. Ricorda una gara o se c’è stato per voi un punto di svolta,  che vi ha fatto capire di potervela giocare con tutti?

Giocavamo partita per partita. Ricordo che il Venezia aveva qualcosa in più come qualità di giocatori. Con l’Udinese, squadra di serie A , per esempio abbiamo fatto 4 punti tra andata e ritorno espugnando tra l’altro il campo in trasferta.  Con le altre , tra le quali Vicenza , Treviso ce la siamo sempre giocata alla pari, se non addirittura superiori a loro. Questo testimonia che qualsiasi fosse la caratura dell’avversario, per noi non cambiava niente. L’approccio alla gara restava sempre il medesimo.

Ecco mister , quello che avete compiuto di fatto resta un risultato storico, per lei, il gruppo e la società . A nostra interpretazione si potrebbe definire come “uno schiaffo” morale alle grandi realtà e più in generale al mondo del professionismo.

Infatti dopo quell’annata là, non hanno più ammesso le squadre dilettanti con i professionisti. Non so bene per quale motivo, ma credo che le realtà professionistiche si siano lamentate rifiutando futuri nuovi confronti con il mondo dilettante. Dopo questa vigente protesta, infatti non abbiamo più giocato contro di loro . Evidentemente in quella stagione , gli abbiamo rovinato la festa…

Facendo riferimento alla sua squadra ed esperienza, ritiene che il mondo dei dilettanti, a livello giovanile,  oggi sia caratterizzato da un ‘approccio che dedica scarsa attenzione alle qualità tecniche e psicologiche di ogni singolo atleta?

Oggi , in linea di massima , tutti giocano per vincere a cospetto del bel gioco naturalmente. Vi è si scarsa attenzione, anche perché , nelle scuole durante le ore di ginnastica/educazione fisica si tende a curare ben poco l’aspetto motorio che comprende la coordinazione dei movimenti. Come si può pensare che un ragazzo, che manifesta evidenti problematiche fisico-motorie riesca a raggiungere un buon livello tecnico?

Pensa che manchi qualcosa al calcio giovanile attuale?

Beh credo che le cose stiano cambiando, perché nei tempi odierni le società mettono a disposizione delle proprie squadre e quindi dei propri ragazzi , allenatori , preparatori atletici e staff sempre più qualificati , che hanno alle spalle corsi di formazione educativi.  Nei primissimi anni da allenatore qui a Montebelluna, ricordo che non esisteva tutto questo e di fatto mi basavo solo ed esclusivamente sulla mia esperienza da giocatore , insegnando ai ragazzi quello che da atleta io stesso riportavo sul campo.

Tornando all’annata degli allievi nazionali, ricorda se per qualcuno dei suoi ragazzi sono arrivate delle piccole soddisfazioni a fine stagione ?

Ci sono stati due/tre giocatori che hanno toccato la serie C. Uno di questi , tra l’altro abbastanza quotato ha militato nelle file di Cittadella ( primavera ) , Pordenone  Teramo e Alessandria, un certo Martignago. C’è stato un certo Falcier , che fu preso dall’Entella , difensore centrale , che a causa di un infortunio abbastanza grave è stato poi costretto a lasciare il calcio. Oppure la punta Samuel Sari che dopo quella stagione fu acquistato dal Rimini . Ecco questi sono stati diciamo i principali trasferimenti verso il calcio professionistico, in seguito a quell’annata.

Un ultima domanda prima di lasciarci, è doverosa. Se oggi avesse davanti i ragazzi di quell’incredibile stagione cosa vorrebbe dir loro?

Eheh , Ormai sono uomini, essendo dell’annata ’91 compiono ventinove anni quest’anno. Molti di loro avranno famiglia con dei figli. Malgrado tanti li abbia  persi di vista,auguro a loro di avere una vita serena a fianco dei propri affetti.  Se poi avete ancora la possibilità GIOCATE A CALCIO RAGAZZI ! Divertitevi !!

A colloquio con Riccardo Martignago.

Dopo aver parlato con il timoniere di quella fantastica annata,la nostra curiosità ci ha spinto ben oltre . Per questo abbiamo deciso di ascoltare anche la versione di chi ha vissuto l’esperienza in prima persona, proprio da atleta , nella rosa al servizio di mister Osellame. A questo proposito, abbiamo fatto due chiacchiere anche con Riccardo Martignago. Giovane classe ’91 ,cresciuto calcisticamente nel vivaio del Montebelluna, dopo la stagione degli allievi nazionali , ha visto aprirsi le porte del professionismo con il passaggio al Cittadella Primavera. Poi Pordenone, Teramo ed attualmente in forza all’Alessandria.

 Stagione 2007/08  Riccardo Martignago , fai parte della rosa al servizio di Mister Osellame che affronterà il campionato nazionale allievi professionisti. Come avete vissuto tu e i tuoi compagni il clima preparazione del pre-campionato ?

Per noi è stata probabilmente la stagione più entusiasmante a Montebelluna. Quando ci hanno comunicato ufficialmente che avremmo affrontato realtà professioniste a dire il vero eravamo tutti un po’ “spaesati”. Abituati a giocare con società di provincia, quindi molto più piccole, il confronto con i professionisti era per noi una nuova sfida , nonché un’ ulteriore stimolo.

Tu sei cresciuto calcisticamente nel Montebelluna, come del resto gran parte dei tuoi compagni di quella stagione. Una società che oltretutto vanta un profilo di spessore nel panorama dilettantistico italiano. Ecco, che effetto ti ha fatto, emotivamente parlando, trovarti insieme ai compagni con i quali sei cresciuto,  a disputare un campionato cosi importante a livello giovanile ?

All’inizio , come già ti ho detto eravamo tutti un po’ frastornati dall’idea. L’ossatura della squadra , costituita da ragazzi dilettanti , è rimasta invariata per anni quindi siamo arrivati all’inizio di quella stagione con un profilo molto umile, sotto questo punto di vista. Samuel Sari , mio carissimo amico,  l’unico che veniva da Treviso, dal quale in un certo senso era stato scaricato. Quindi a fine stagione si è persino preso una bella rivincita.

Questa domanda l’ho rivolta anche al mister . C’è stato secondo te una gara o un momento che ha segnato un punto di svolta, dove avete capito che in realtà potevate giocarvela con tutti?

Beh, la prima giornata è stata quella che forse ci ha dato la soddisfazione più grande . Un pareggio (1-1) , acciuffato nel finale contro l’Udinese, che ci ha regalato la vera consapevolezza di poter affrontare quel tipo di campionato a viso aperto. E’stata la chiave di sblocco del nostro cammino . Da li in poi sono arrivati in sequenza una serie di risultati positivi . Abbiamo vinto a Trieste, e ci siamo persino superati nel derby a Treviso ritrovandoci sorprendentemente al comando della classifica.

Parlando con il mister del modulo , mi ha detto che spesso prediligeva un 4-3-1-2 o in alternativa un 4-3-3. Che ruolo ricoprivi e quanto ritieni sia stata fondamentale la sua interpretazione nel corso della stagione ?

Nel primo caso giocavo da trequartista, mentre nel secondo venivo schierato nei tre davanti, più precisamente alto a sinistra. Al di là del ruolo però l’aspetto fondamentale di quell’anno è stato senza dubbio il gruppo. Lo zoccolo duro della rosa era formato da una cerchia di ragazzi che è cresciuta insieme calcisticamente parlando. Con le famiglie ricordo che spesso, a fine gara ci fermavamo a pranzo insieme. Si era instaurato un legame di amicizia così solido tra noi , che la squadra era diventata come una vera e propria famiglia allargata.  Indubbiamente io devo tantissimo al calcio Montebelluna perché per quanto mi riguarda è stato il mio trampolino di lancio. La nostra era una realtà più confidenziale rispetto alle altre società del campionato. Per questo ribadisco, che non è tanto una questione di modulo , piuttosto coesione e un forte spirito di squadra hanno influito sul nostro cammino in maniera decisiva. 

Se hai ancora contatti con il mister e compagni , ti sarà capitato di ricordare quei momenti. Ti è mai venuta un po’ di nostalgia?

Contatti… ne ho mantenuti con tantissimi ragazzi. Sono particolarmente legato a Nicola Falcier, che era il capitano, con il quale sono cresciuto fin dai primi calci. Lo stesso Samuel Sari,già menzionato precedentemente che vive a Treviso e riesco a vedere. Te ne potrei dire altri , Marco Bressan , Johnny Zanatta e Marco Piazza . Abitiamo tutti più o meno vicini e quando ci incontriamo , ci capita naturalmente di incentrare le nostre conversazioni su quella stagione memorabile. E’ stata davvero una storia assurda la nostra.

Quanti dei tuoi ex- compagni, sono riusciti ad avere qualche soddisfazione dal calcio, come del resto tu stai avendo ?

Dopo quella stagione siamo andati via dal vivaio io e Samuel. Io al Cittadella e lui si accasò a Rimini , entrambi in prestito. E’ stata una scelta della società Montebelluna, non lasciare andar via molti ragazzi,  in prospettiva futura per la prima squadra. La società militava in serie D, ha sempre fatto bene e per questo teneva tanto al gruppo. Molti di noi avrebbero affrontato il campionato Juniores per poi fare il salto di sopra.

Tornando alla stagione, sarebbe corretto secondo te ,definire  il vostro percorso come una sorta di schiaffo al professionismo , alle realtà più blasonate e a tutti quelli che , ai nastri di partenza vi avevano sottovalutato?

Inizialmente il timore di sfigurare era molto. Sopratutto temevamo che questa scelta riguardo il nuovo campionato, fosse dovuta in un certo senso a tappare dei buchi lasciati da altre società professioniste, che probabilmente avevano rinunciato ad iscriversi. Ovviamente poi non è stato così. Per noi è stata comunque una prova di carattere e di orgoglio. Seppur dilettanti , quando riesci ad avere la meglio sui professionisti in termini di risultato, acquisti consapevolezza sui propri mezzi e non li vedi più come dei marziani. Quando leggi sulle tute Udinese calcio o Treviso Football Club fa sempre un certo effetto, ed ancor più emozionante realizzare che stai prendendo parte al loro stesso campionato. 

Al termine di una stagione che vi ha visto partire come matricola, per poi recitare un ruolo da protagonista,  arriva un risultato del tutto inaspettato. Secondo posto e qualificazione alle fasi nazionali. Tra l’altro unica società dilettante sul panorama calcistico italiano, a disputarle. Vi aspettavate questo risultato e soprattutto sul piano delle emozioni, cosa ricordi?

E’stata una soddisfazione indescrivibile. Sebbene sul territorio, a livello dilettante, il Montebelluna rappresenti la società più importante, quella che ci veniva messa davanti in quella stagione, era una sfida che consisteva anche nella totale presa di fiducia dei nostri mezzi. Il Montebelluna calcio ha vinto tanto a livello dilettantistico ed è ormai società ben nota sul panorama nazionale. Da un lato quando ci hanno detto che prendevamo parte ad un nuovo campionato, alcuni di noi inizialmente l’hanno vissuta anche con un po’ di rammarico. Naturalmente dovuto all’occasione sfumata di prendere parte alle finali dilettanti. In sintesi ” Facciamo un campionato professionistico di livello, ma chissà con quali risultati“. Poi invece abbiamo capito di poterci stare, affrontando partita dopo partita a viso aperto e coronando una stagione pazzesca con la ciliegina delle finali.

Quanto ritieni sia stato importante il rapporto di amicizia e una maggiore coesione ai fini del risultato?

Tantissimo. Ti da quel qualcosa in più. Noi abbiamo vissuto quei momenti a pieno in un contesto di divertimento , ma il gruppo e lo spogliatoio erano per noi una seconda famiglia. L’uno a disposizione dell’altro, prima, dopo e durante. Alla fine dei giochi , è stato l’aspetto che ha fatto la differenza.

Arriviamo al capitolo finali nazionali. Il sorteggio vi ha messo davanti il Milan. Siete riusciti in un’altra grande impresa pareggiando la gara di andata davanti al vostro pubblico. Nella gara di ritorno, siete usciti sconfitti 4-0 salutando le finali. Comunque sia , avevate già oltrepassato le aspettative. Qualche rimpianto in merito?

No, loro avevano decisamente una squadra superiore. Ricordo che nella gara di andata , pareggiata 1-1,  si respirava un’atmosfera incredibile. Il campo di casa era pieno di gente e sinceramente non mi era mai capitato di vedere cosi tanto pubblico. Già questo aspetto ci faceva comunque capire che avevamo fatto qualcosa di grande. Purtroppo nella gara di ritorno è venuta fuori la loro superiorità, e sicuramente le condizioni atmosferiche ci hanno un po’ complicato le cose. Pioggia incessante e noi che probabilmente siamo andati a giocare con un pizzico di timore, agitazione. Se si aggiunge anche qualche assenza pesante rimpiazzata dai classe’92 , si fa presto a capire che le chance di passare il turno erano del tutto limitate. Nessun rimpianto, fieri del traguardo raggiunto!

Vorrei farti un’ultima domanda Riccardo, prima di salutarci. Se oggi avessi davanti mister Osellame, cosa vorresti dirgli?

Devo solo ringraziarlo. Ha sempre avuto un enorme pazienza e dimostrato professionalità nel suo ruolo. Attraverso il suo modo di interpretare il calcio e tenere unito il gruppo è stato il primo a trasmetterci sicurezza e convinzione nei propri mezzi. Devo tanto anche alla società , che mi ha lanciato nei professionisti, dopo un percorso all’interno del quale sono maturato sia come giocatore che come uomo.

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Ricordi

Porte improvvisate. Spesso fatte da maglioni o giacche lasciati cadere bruscamente sul terreno, senza minimamente curare l’eleganza del gesto.

A volte invece, era il portone di un vecchio garage abbandonato che si prendeva la piena libertà di “conservare” l’emozione di un goal, un istante dopo il fragoroso suono emesso dall’urto del pallone. Un campo senza righe, delimitato da muri, marciapiedi dove sostanzialmente non vi erano regole particolari e anche il famoso “rinterzo” diventava lecito e parte di ogni sfida.

E dai ricordi di pantaloni strappati, ginocchia sbucciate e conseguenti urla domestiche.  Di palloni finiti sotto le automobili o, peggio ancora, da rincorrere per strade senza protezione alcuna.

Sono figlio di quella che, probabilmente, è l’ultima generazione del calcio di strada. Poi è giunta pian piano l’era dei computer, dei sempre più amati videogiochi che in qualche modo hanno privato i giovani di uno stretto rapporto con la realtà.

Dopotutto, sono fiero di aver goduto di quelle abrasioni sull’asfalto, dei TANGO anche fuori dai lidi balneari e soprattutto di un’infanzia piena di memorabili ricordi.

Il calcio di strada nel mondo

Di fatto la potenza del calcio passa e comincia da lì. Dalla strada e dal cemento, dove la passione incontra la spontaneità dei gesti, dove anche l’ingegno e l’astuzia si rivelano fondamentali per entrare nella lista dei vincenti.

Dall’ altro lato si apprende il vero significato della parola rispetto. La correttezza e l’onestà con l’avversario sono due di quei valori che provengono proprio dalla strada e non possono essere ignorati. Il calcio di strada è il calcio di tutti, il calcio per tutti. E tanti campioni, piccoli o grandi, sono cresciuti proprio qui. In tutta la parte latina del Sud America lo chiamano Futbol Callejero, in Brasile invece è più comunemente conosciuto come Futebol de Rua Futebol Moleque che tradotto significa calcio fanciullo.

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Molti dei grandi talenti del calcio provengono e sono nati con il calcio di strada, basti pensare ai vari Maradona , Messi, Ronaldo e Romario. Prendendo a calci un pallone fatto di stracci, o una semplice lattina. Si gioca in spazi ristretti e il solo modo per evitare il contatto con l’avversario resta quello di implementare le proprie doti tecnico-balistiche.

Tuttavia il calcio di strada è stata per molti una via di fuga dalla delinquenza, un’ancora di salvezza da un mondo buio e pieno di insidie. Con il passare degli anni in America latina il Futbol Callejero si è trasformato in un vero e proprio movimento, grazie anche all’argentino Fabiàn Ferraro che, in seguito alla perdita del fratello, ha deciso di renderlo un mezzo per educare i giovani e per sottrarre i ragazzi più sfortunati alla malavita.

“Il calcio di strada ti insegna il rispetto per l’avversario, l’importanza delle regole. Conosci persone e culture diverse e fai amicizia con ragazzi di tutto il mondo”

Un percorso lento ma costante che ha portato oggi alla nascita di una vera e propria rete di squadre in tutto il Sud America. Il Movimiento de Futbol Callejero è oggi presente in Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile, El Salvador, Ecuador, Costa Rica, Panama, Colombia e Perù.

Risultato immagini per futbol callejero

“Dalla strada, per la strada la forza del dialogo attraverso il calcio.” F.F

Italia, dov’è finito il calcio di strada?

Mentre in Sud America e in generale nel mondo il calcio di strada resta ancora un’attività praticata dai giovani, il nostro paese con l’arrivo della modernizzazione ha quasi totalmente cancellato gli aspetti più sani della vita quotidiana.

Il dialogo, le relazioni, sono tutte facce di una medaglia che nei tempi odierni si nascondono dietro all’alta tecnologia: dai computer ai cellulari, passando attraverso i social e lasciando nel cuore di noi nostalgici nient’altro che un velo di rimpianto. Cosi anche nel mondo del football. Di fatto il calcio odierno ha subito uno stravolgimento rispetto a quello degli anni ’90 e i primi del 2000.

Si parla di un calcio votato al business, dove l’apparenza vale più dello spettacolo, dove l’amore e l’attaccamento alla maglia si arrendono davanti alle logiche del profitto e dell’arricchimento di pochi. Il calcio in Italia ha avuto un tracollo negli ultimi anni e fatica a ritrovarsi perché manca alla base l’aspetto più genuino di questo sport: il gusto del divertimento.

Una costante, per quanto concerne il calcio di strada. Molti regolamenti comunali, oggi, tendono a vietare la pratica del calcio in stradaa tutela della quiete pubblica. A rendere il tutto più desolante, però, c’è che i parchi cittadini, fino a qualche anno fa gremiti da bambini, oggi molto spesso risultano semivuoti. E anche quando vi sia malgrado qualche sprazzo di vitalità, sono sempre meno i palloni che rotolano sui prati.

A fronte di ciò, le scuole calcio rimangono l’ultimo baluardo del gioco popolare per eccellenza. E queste, fortunatamente, si sono strutturate negli anni, modernizzandosi e arricchendo le conoscenze teoriche latenti fino agli scorsi anni. Rovescio della medaglia, però, è che i ragazzi hanno perso quel pizzico di sana follia che veniva donata dal giocare ovunque ci fosse un pallone e uno spazio più o meno idoneo alla pratica. Meno brio, meno inventiva, meno fantasia.

Risultato immagini per calcio di strada

Ad una generazione cresciuta col sogno di emulare le gesta di Ronaldo, Del Piero, Baggio nei cortili, nelle piazze o nelle semplici strade, corrisponde l’epoca attuale fatta di tablet, smartphone e, forse, genitori sin troppo premurosi.  Che sia questo uno dei motivi, almeno in Italia, di una qualità calcistica così ridimensionata?

In attesa di un futuro migliore, lottiamo affinché i nostri figli non crescano incollati ad uno schermo, donando loro quel senso di libertà che noi per primi abbiamo inalato. Perché forse, in fondo, è quello che basta per non perdere la speranza.