Sono volati così 14 anni. Come un ragazzino che sfoglia le pagine di un album Panini e di tanto in tanto contempla le figurine mancanti. Nessun italiano si dimentica di quella lunga cavalcata che ci condusse alla notte di Berlino. Una notte nella quale tutti ci siamo sentiti ancora un po’ più italiani. Chi sul divano di casa, chi in un pub o in una pizzeria o chi addirittura davanti ai maxi schermi sotto le stelle. Ci eravamo abituati a sentire quei nomi pronunciati dalle inconfondibili voci di Fabio Caressa e Beppe Bergomi. Berlino ha rappresentato l’ultimo grande atto della nazionale azzurra, l’ultimo capitolo nella storia dei mondiali di una vera “corazzata” che, insieme a quella del 1982, ha scritto una delle più belle pagine del calcio tricolore.
The Gold Generation
Così. mentre eravamo impegnati a ricordare la magia di quella notte, il tempo scandiva il capolinea di ogni singolo atleta. Da Cannavaro a Zambrotta, da Grosso a Del Piero, la clessidra ormai già avviata lasciava chiaramente presagire il tramonto di un’era.
Potremmo definirla, come dicono gli inglesi, la “Gold Generation”, alludendo ad una ristretta cerchia di campioni che ha toccato la vetta proprio con la vittoria del mondiale 2006. Resteranno per sempre un bellissimo ricordo e forse magari un giorno avremo l’occasione di raccontarlo ai nostri figli, trasmettendo loro quel calore e quelle emozioni che ci hanno accompagnato durante la competizione.
Adesso c’è chi siede in panchina con un incarico da CT, chi ha intrapreso la carriera da opinionista, chi lavora come Ds e chi invece è riuscito a rinunciare al pallone solo pochi giorni fa, scoppiando in lacrime davanti ai tifosi che, per l’ennesima volta, hanno assistito all’addio di un altro incredibile pezzo di storia calcistica.
Il saluto di Daniele
Si, è il caso di Daniele De Rossi , che aveva scelto il Boca Juniors appena un anno fa e con cui era sotto contratto fino al prossimo 30 giugno. Ha deciso di abbandonare il calcio giocato per dedicare più tempo alla famiglia:
“E’ una scelta personale e relativa solo alla mia famiglia, con la quale voglio passare più tempo possibile. Sono triste perché avrei voluto giocare altri dieci anni, ma ho 36 anni e questo è il momento di dire basta per concentrarmi su altro. Se penso che non giocherò più mi sento male, ma sono contento di aver giocato tante partite importanti e di tutto quello che è successo nella mia vita“.
La decisione definitiva è arrivata durante le vacanze di Natale e a seguito di un lungo periodo di riflessione sul suo immediato futuro da giocatore, legato anche al cambio dei vertici della società gialloblu, con la partenza del DS Burdisso, grande amico e fautore del trasferimento. Una vita dedicata alla maglia della Roma con la quale ha raggiunto il secondo posto per presenze ufficiali, preceduto solo dal compagno e capitano Francesco Totti. E’ un’altra pedina che se ne va. L’ennesima di quella storica nazionale.
L’ultimo eroe
Sebbene la nazionale l’abbia lasciata in quel 13 novembre 2018 con tanto amaro in bocca per quello spareggio mondiale perso contro la Svezia, oggi Gigi Buffon resta l’ultimo “superstite” della notte di Berlino 2006. L’ultimo grande campione.
Tutto comincia nell’ottobre del ’97 a Mosca, quando Cesare Maldini, allora CT della nazionale, decide di farlo esordire al posto dell’infortunato Pagliuca.
Ne diventa ben presto titolare sotto l’era Dino Zoff, che lo promuove nel corso della stagione 1998-1999. Comincia la scalata e il 14 novembre 2009 tocca quota 100 presenze in nazionale, quarto giocatore italiano preceduto solo da Zoff, Maldini e Cannavaro. Nel 2013 eguaglia e supera le 136 presenze di quest’ultimo diventando il calciatore con più presenze in nazionale. Nel 2014 prende parte al suo quinto mondiale, eguagliando il record di Lothar Matthaus, mentre nel settembre 2015 raggiunge quota 150 presenze in maglia azzurra. Una carriera sempre in crescendo, che ha toccato il suo apice con la vittoria del mondiale tedesco. Nonostante ciò, l’ultima immagine dell’inenarrabile avventura in maglia azzurra di Buffon, alla quale ha portato rispetto, talento, esperienza, onore, vittorie, non è tra i pali o in lacrime a fine partita, non è neppure nel bacio alla Coppa del Mondo 2006, ma schierato in mezzo ai suoi compagni, durante l’inno della Svezia, ad applaudire a testa bassa, tentando invano di coprire i fischi assordanti di San Siro.
Dopo l’avventura al PSG è tornato alla sua Juve, alla società che lo ha visto arrivare ragazzo, crescere, spogliarsi della sua adolescenza per diventare uomo. Ne ha fatta di strada Gigi ed eccolo qua ancora in piedi, con le chiavi di quella porta che per anni ha difeso con tenacia ed un briciolo di follia. Perché si sa, alla fine per fare il portiere bisogna essere un po’ pazzi. E quel ruolo lo ha onorato in tutto e per tutto fino all’ultima goccia di sudore. Sta continuando a farlo anche oggi, malgrado abbia lasciato la maglia da titolare ad un giovane polacco di nome Szczęsny. Mentre il mondo attende di sapere chi sarà l’erede di Gigi, è doveroso ringraziarlo come avrebbe fatto qualsiasi amante romantico del calcio: