Difficile capire cosa si cela dietro il mondo dei veli. Un pò per la sua innata misteriosità che fin da sempre mi attrae, un po’ perché d’altro canto è una cultura ancora troppo lontana e diversa dalla nostra. Del resto l’islam ha radici antichissime e non è quindi un caso che in qualche modo rispetti ancora oggi canoni e standard tradizionalisti e conservatori, sotto molteplici aspetti della vita quotidiana.
Su tutti, direi che la libertà d’espressione delle donne resta ancora oggi uno dei nodi più delicati da snocciolare concretamente. Da un lato, sebbene alcuni paesi abbiano alleggerito le pressioni ed intrapreso un processo di occidentalizzazione rispetto agli anni 90, altri sembrerebbero non volerne proprio sapere perché significherebbe infrangere letteralmente le basi del culto e tradire la propria terra.
La penisola arabica vanta una superficie piuttosto grande e nonostante la lingua sia la medesima, ci sono in realtà tante piccole differenze tra paese e paese. E’ un’evidenza ormai confermata che alcune di queste terre rappresentino una ricchezza di inestimabile valore per il medio oriente considerando l’esportazione di minerali e petrolio a livello mondiale. Proprio sull’estremità più ad est del medio oriente, sorge la diciottesima nazione del globo per estensione. Nelle pagine di storia è conosciuta con il nome di Persia, nonché patria di una delle civiltà più antiche del mondo, oggi meglio nota come Repubblica islamica dell’Iran sede di convivenza di incredibili diversità etniche e culturali.
Cenni storici.
Il 4 Novembre 1979 segna decisamente un punto di svolta per la storia dell’Iran. Di fatto masse di studenti universitari invadono, senza incontrare resistenza l’ambasciata americana a Teheran. Gli Stati Uniti, potenza occidentale, erano visti come il Grande satana e si sentiva la necessità nel paese, che il mondo dovesse parlare un po’ di Iran .Quello che accadde in quella giornata fu il punto di partenza di un vero e proprio medioevo integralista. Il paese si avviò alla chiusura verso il mondo, sbarrando le sue frontiere, riducendo i contatti con altri paesi determinando l’inizio di un periodo storico che ha sancito indelebilmente le pagine di questo paese. Tra gli artefici l’ayatollahKhomeyniche aveva invitato la popolazione, attraverso la sua propaganda, a ribellarsi contro gli interessi degli americani in Iran. Soltanto il 20 gennaio 1981 quando il nuovo presidente Ronald Reaganaveva appena accettato la carica, i 52 impiegati rimasti ostaggio per quarantaquattro giorni vennero finalmente liberati. Questo era il biglietto da visita di un’Iran che si candidava cosi come un nemico forse ben peggiore dell’Unione Sovietica, crollata pochi anni dopo.
Siamo a Marsiglia , città del sud , storico centro del commercio portuale transalpino. E’ il 4 dicembre 1997, diciott’anni e un mese dopo l’assalto a quell’ ambasciata. Tra le trentadue finaliste del mondiale c’è anche l’Iran che si è qualificato dopo un percorso controverso e uno spareggio con l’Australia che non si era riusciti ad evitare. Per di più la sua partecipazione ha un sapore del tutto nostalgico, perché è dal lontano 1978 che la nazionale asiatica non centrava la qualificazione.
La nazionale iraniana che partecipò al mondiale transalpino del 1998.
Lo Spareggio.
L’Iran affronta un ultimo turno di qualificazione con la vincente dell’Oceania; il 22 Novembre 1997 all’Azadi Stadium di Teheran non c’è un posto libero. Centotrentamila spettatori affollano gli spalti, tuttavia neanche un volto femminile perché si sa la donna ancora non ha pienamente acquisito certi diritti. Dall’altro lato la nazionale australiana , che non vorrebbe giocare in Iran per i disordini e il clima vigente, chiede alla FIFA di destinare la partita altrove, ma gli addetti ai lavori respingono la richiesta. La nazionale oceanica atterra solo tre ore prima della gara , e va in vantaggio conHarry Kewelldopo soli diciannove minuti. Gli iraniani non si lasciano intimorire e pareggiano i conti con Azizi. La partita di andata si chiude in parità e tutto è rimandato alla gara di ritorno, cinque giorni dopo al Melbourne Cricket Ground. Gli ottantacinquemila presenti attendono solo di riempire le strade della città e festeggiare la qualificazione dei Socceroos. Australia avanti con Kewell e poco dopo raddoppio di Vidmar. Poi improvvisamente un tifoso esibizionista fa il suo ingresso in campo ,correndo fino alla porta iraniana , dalla quale strappa totalmente la rete dopo esservisi aggrappato. La partita naturalmente si interrompe per un po’ di minuti per il ripristino della situazione di gioco. Quando riprende , la storia è cambiata letteralmente, gli iraniani sembrano aver cambiato marcia mentre gli australiani sembrano rimasti alla sospensione forzata.
Ad un quarto d’ora dal triplice fischio, prima Bagheriaccorcia le distanze, poi ancora lo scatenatoAzizispedisce i suoi direttamente al mondiale transalpino, realizzando la rete del 2-2.
La gioia dei giocatori iraniani dopo lo spareggio con l’Australia, che li ha visti qualificarsi al mondiale del 1998.
In Iran esplode la festa. Una gioia incontrollabile ; la gente ballava per le strade bevendo alcolici apertamente, le donne si toglievano il velo. Infrangere le regole ,che da anni avevano tenuto il paese sotto egemonia, era l’espressione più naturale per dimostrare la felicità di un paese intero che si stringeva con la sua nazionale al trionfo raggiunto. Persino le forze dell’ordine nulla possono, perché anche loro erano prima tifosi e poi guardie. Al rientro nella capitale la squadra viene accolta da orde di persone festanti , nonostante tutto c’è chi il successo non riesce ad assaporarlo. Il C.T Vieira viene esonerato, sei mesi prima del mondiale. Arriva al suo posto il serbo Tomislav Ivic, ma a Maggio anche quest’ultimo verrà sollevato dall’incarico. Quale miglior scelta , se non quella di affidarsi ad un C.T made in Iran per la partecipazione a Francia ’98?
BenvenutoJalel Talebi.
Il Confronto con gli USA.
La fase finale del mondiale vede gli iraniani inseriti nel girone F insieme a Germania, Jugoslavia e indovinate un po’? Gli Stati Uniti.
L’impatto con il mondiale è negativo per entrambe le nazionali. L’Iran perde con la Jugoslavia mentre gli americani escono sconfitti per 2-0 dai tedeschi. La sfida del 21 Giugno 1998 è un dentro o fuori : chi perde può fare le valige in anticipo , i vincitori possono sperare nell’ultima giornata.
A complicare le cose ci pensa una tv privata francese che in settimana trasmette un film dal titolo Not without my daughter. La storia narra di una donna americana che lascia l’Iran con la figlia, contro la volontà del marito al quale si trovava suddita. Una chiara rappresentazione della vita in Iran, che come avevo accennato nell’introduzione, vede la figura femminile letteralmente sottomessa , in un clima cupo e dominato dall’oscurantismo religioso.
Non è finita qua. Il regime di Teheran aggiunge un nuovo motivo di scontro. Gli americani sono etichettati come la squadra A e l’Iran la B , per cui secondo il protocollo Fifa , dopo l’ingresso in campo e gli inni toccherà alla nazionale islamica incamminarsi verso gli avversari per la stretta di mano. Khomeyni è morto nel 1989 ed al suo posto è subentrato l’ayatollah Ali Khamenei, leader supremo della Repubblica islamica, che di fatto non è per niente convinto di sottostare ai comandi e procedure Fifa:
“L’Iran non deve camminare verso gli americani”
Sebbene il susseguirsi di queste vicende abbia contribuito a riscaldare gli animi, la problematica più seria avanza quando gli oppositori del regime , finanziati da Saddam Hussein e considerati un organizzazione terroristica , acquistano svariati biglietti per la partita, con l’obbiettivo di creare panico e confusione . Sembrano i preparativi di una manifestazione di massa a rischio incidenti ma a sorprendere tutti ci pensano i giocatori iraniani che entrano in campo tenendo in mano mazzi di rose bianche , in segno di pace. La tensione si scioglie, le strette di mano sono sincere e i ventidue giocatori si mescolano a centrocampo per una foto tutti insieme. E’ come se Usa-Iran cominciasse dall’1-1.
Iran ed Usa si scambiano il saluto a centrocampo prima dell’inizio gara il 21 Giugno 1998.
Giocano meglio gli iraniani, difendendosi egregiamente con ordine e rispondendo in contropiede a gran velocità. Hamid Estili sigla la rete del vantaggio verso la fine della prima frazione di gioco, Mehdi Mahdavikia raddoppia e chiude il confronto a cinque minuti dal triplice fischio. C’è perfino spazio per il goal diMcBride che accorcia le distanze per gli americani. L’Iran conquista la sua prima storica vittoria in un mondiale e proprio contro quello che doveva essere il nemico più odiato. A Teheran, fiumi di gente che si riversa nelle strade, canta, balla , uno scenario già visto in occasione della vittoria nello spareggio con l’Australia.
La gioia incontenibile dei giocatori iraniani dopo la vittoria sugli Stati Uniti al mondiale del 1998.
Nonostante i festeggiamenti, c’è chi naturalmente non riesce a riappacificare il proprio animo nei confronti dei rivali e continua a tenere accesa la fiamma dell’odio. Khamenei invia un messaggio in Francia congratulandosi con la squadra e snaturando del tutto gli americani. Le immagini delle feste vengono censurate dalla Tv iraniana e alcune sommosse anti Usa prendono campo anche in Libano e Palestina.
Purtroppo il mondiale per entrambe terminerà qui , dopo che gli americani escono sconfitti per 1-0 con la Jugoslavia e gli Iraniani soccombono sotto i colpi di una più coriacea Germania.
Diciotto mesi dopo il confronto tra le due nazionali torna in campo, questa volta per un amichevole al quanto simbolica a Pasadena , a dimostrazione di una pace e cooperazione raggiunta da quel 21 giugno.
Popovich, storico CT della nazionale a stelle strisce di basket, dà la sua benedizione dopo un Usa- Iran ai giochi di Tokyo del 2020 :
“La gente normale va sempre molto più d’accordo dei suoi politici”
Da allora la diplomazia ha compiuto progressi e il pallone è tornato a mettersi nel mezzo a questi due paesi, perché anche a Qatar 2022 Usa e Iran sono inseriti nel medesimo girone. Appuntamento al 29 Novembre a Doha ore 22 locali, le 11 di mattina a New York, le 8 a Los Angeles , sulla West Coast.
Vogliamo credere davvero che il mondo abbia compiuto dei progressi e siamo convinti che il raffronto tra queste due realtà non sia più lo spauracchio e la faccia di una medaglia che storicamente aveva diviso il globo, separato popoli ma soprattutto portato enormi pregiudizi sulle nazioni.
Potrei cominciare ,come accade nelle grandi storie di navigazione , esaltando in modo fiabesco le gesta e le imprese dei grandi traghettatori. Cavalcano impavidi mari e oceani ostili alle loro volontà, poi improvvisamente raggiungono traguardi e mete inaspettate. Quello che hanno lasciato alle spalle naturalmente, resta un bellissimo ricordo divenuto presto leggenda.
Ve la ricordate la leggenda del Sottomarino Giallo?
No, non vi confondete, in realtà non sto parlando di nessun tipo di sommergibile o imbarcazione subacquea, ma i veri nostalgici e amanti della pelota ricorderanno subito, che questo nomignolo è da accostarsi ad una formazione iberica che toccò, nei primi anni del 2000, l’apice della sua gloria, consacrandosi come un assoluta sorpresa .
Il Villareal infatti, riuscì incredibilmente a passare, in pochi anni, dalla seconda divisione spagnola ai fasti dell’ Europa, divenendo protagonista. Eppure in quella rosa, non figuravano nomi d’ eccellenza , fatta eccezione per colui che è stato un leader indiscusso del calcio sudamericano: Juan Roman Riquelme.
Il talento argentino è il capitano ed è osannnato da tutta la città come un vero e proprio Dio. Intorno a lui ruota una squadra di forte impronta sudamericana, (Arruabarrena, Sorìn , Forlán, Cazorla) che si affaccia per la prima volta nella Liga nel 1998. Di lì a poco vivrà , gli anni più incredibili della sua storia.
La vera svolta arriva nel 2004 , quando l’allora presidente Roig Alfonso, decide di dare un volto nuovo alla panchina dei canarini ingaggiando Manuel Pellegrini, all’epoca CT emergente proveniente dal River. Che le cose girassero perfettamente, lo si era subito visto dalla conquista del terzo posto in Liga , dopo aver condotto un campionato nettamente al di sopra delle aspettative. Si approda di diritto in Champions League e questo storico traguardo già profuma d’impresa.
La cavalcata del Sottomarino Giallo alla coppa dalle grandi orecchie comincia con il preliminare, dove ha eliminato l’Everton. Si conferma avversario duro conquistando sorprendemente anche il primo posto del gironcino davanti a colossi come Benfica , Lille e il Manchester Uniteddi Sir Alex Ferguson. Agli ottavi di finale, superano con due pareggi, gli scozzesi del Glasgow Rangers e s’ imbattono nell’Inter di Roberto Mancini ai quarti di finale. Sconfitta a Milano per 2-1 e vittoria casalinga per 1-0 , ma la rete di Forlán in trasferta garantisce agli uomini di Pellegrini il conseguente passaggio del turno.
La semifinale, pone davanti un’avversario affermato quanto ostico. L’ Arsenal del filosofo Wenger, che aveva già eliminato Real Madrid e Juventus proverà a fermare il cammino dei canarini. Gli inglesi dal canto loro erano i grandi favoriti e vantavano una rosa zeppa di campioni come: Dennis Bergkamp, Thierry Henry , Sol Campbell , Fredrik Ljungberg e tanti altri.
La gara di andata si gioca ad Highbury Park, nello storico tempio dei Gunners e i padroni di casa vincono con il minimo scarto (1-0) . Dunque tutto aperto per la partita di ritorno, che si gioca in un Madrigal esaurito e sognante.
La partita, resta equilibrata per quasi tutti i novanta minuti con gli inglesi che resistono alle incursioni dei padroni di casa. All’88 minuto di gioco Clichy commette un ingenuità in area di rigore e atterra José Mari. Per il direttore di gara , nessun dubbio e con il fischietto in bocca non esita ad indicare il dischetto.
E’ il momento cruciale della gara. L’ episodio che ha stimolato la mia penna. Ricordo bene Riquelme che bacia ed esorcizza il pallone prima di addossarsi la responsabilità di calciare. In quei secondi preziosi, l’argentino ha in mano il sogno di una città. Un silenzio assordante , nella sua testa, prima di possibili ed interminabili urla di gioia o al contrario, una quiete funesta che avrebbe rovinato del tutto la serata.
Ma quella notte, nonostante il coraggio, il destino aveva deciso che ad andare in finale sarebbero stati gli inglesi. Nella preparazione di quel calcio di rigore la pressione è enorme. Roman calcia un tiro a mezza altezza sul quale Lehmann si avventa senza molta difficoltà ,spegnendo definitivamente le luci al Madrigal .
La freddezza di un calcio di rigore è così diventata illusione. Non si può più sperare l’insperabile ed il dolore finale dell’eliminazione fa da contro altare all’entusiasmo di inzio gara. Al triplice fischio, Riquelme il leader indiscusso di quella squadra, sgattaiola via verso gli spogliatoi, senza alzare la testa , come se inconsciamente volesse liberarsi del ricordo di una notte piena di sconforto. ” Una noche para olvidar”, avrebbe poi detto.
Il peso di quel tiro dal dischetto in realtà non lo ha mai lasciato nel corso degli anni e nel 2021, in occasione di una reunion con i protagonisti di quel Villareal affermò: ” Non ho mai più riguardato quel rigore, l’ho portato con me , senza però mai riuscire a dimenticarlo”.
All’ incirca 20 anni fa. Sembra un tempo lontanissimo, quasi dimenticato, ma forse non da tutti. Marazzina, D’Anna , Eriberto (o Luciano), Corini , Corradi , Manfredini sono solo alcuni nomi emblematici che ci riportano indietro nel tempo, ad un miracolo di quartiere che ha pochi eguali. Per chi ha vissuto naturalmente l’epopea del ChievoVerona, e’ praticamente impossibile dimenticare quella storica formazione, impressa in modo granitico nella memoria degli appassionati.
GLI ESORDI.
Era il 26 agosto del 2001, quando una matricola proveniente da un quartiere veronese fece il suo esordio nel calcio che conta. E non poteva esserci palcoscenico migliore , se non quello della cornice di Firenze all’ ARTEMIO FRANCHI. Grande affiatamento, profilo umile e tanto cuore. Questi sono i principali ingredienti della squadra , proveniente dalla cavalcata che li ha visti trovare la promozione nel torneo 2000-01. Il Chievo Verona, affacciatosi tra le nobili del calcio soltanto sette anni prima, nell’estate del 1994, ha accresciuto le sue velleità in maniera graduale e costante, andando di pari passo con quelle del presidente Luca Campedelli, che è riuscito a far crescere l ‘impresa di famiglia e mira in alto con il suo ” giocattolino” giallo/blu .
LUIGI DELNERI DETTO ” GIGI”.
Il timoniere e’ un friulano doc , pragmatico, dedito al lavoro costante , il cui accento per chi sta dall’altro lato dei micrfoni resta un rebus da snocciolare piano piano. D’altronde, i “miracoli” non si generano dal nulla. È la filosofia di Luigi Delneri, che tutti, però, chiamano Gigi. Viene da Aquileia, in provincia di Udine, ma il Pino Zaccheria di Foggia è stato la sua seconda casa, almeno per quanto riguarda la carriera da giocatore. Due promozioni in A conquistate sul campo , di cui una con la sua Udinese. Beh sul rettangolo ha sempre dimostrato di saperci fare , e anche dopo aver appeso gli scarpini al chiodo, la filosofía non cambia. Allena Ravenna, Nocerina e Ternana raggiungendo con gli umbri una doppia e storica promozione , dalla C2 alla B. L’ Empoli allora , non tarda a mettergli gli occhi addosso e affidargli la panchina nell’estate del 1998. Esperienza che però si rivelera’ solo una piccola parentesi. Terminata la preparazione, Gigi abbandona la barca a causa di eclatanti dissidi ed incomprensioni con giocatori e dirigenza, che non appoggiava del tutto le sue teoríe calcistiche. Ecco che qua probabilmente entra in gioco il destino e la fortuna di DELNERI , che riceve a sorpresa la chiamata del presidente Campedelli, del tutto deciso a scommetere su di lui .
PROMOZIONE E NUOVI ARRIVI.
Luca Campedelli , aziendalista imprenditore e principale azionista dell’azienda dolciaria Paluani , decide che è giusto dare al tecnico una chance per portare i canarini a brillare nel calcio che conta. D’altro canto Gigi non delude le aspettative e la promozione viene subito centrata. Del resto una frazione di neanche 5000 abitanti che si affaccia incredibilmente alla massima serie, non è un evento che accade tutti i giorni. Metà miracolo e’ compiuto. Adesso ciò di cui bisogna preoccuparsi e’ cercare di restarci , magari prendendo qualche ” schiaffo” qua e la’ senza però affondare troppo. Mercato estivo neanche troppo fiorente; solo qualche piccolo innesto e qualche vecchia conoscenza . Fra i pali c’è Lupatelli, promessa mai definitivamente esplosa alla Roma; c’è Perrotta che si è fatto notare a Bari con Fascetti dopo aver vissuto due anni alla Juventus, guardando i compagni di squadra perlopiù dalla panchina o dalla tribuna; in attacco torna Marazzina che ha fatto vedere belle cose con la Reggina l’anno precedente e che conosce benissimo l’ambiente-Chievo per avervi già disputato quattro tornei fra i cadetti.
UN’INTELAIATURA CONSOLIDATA.
Si punta tanto su una base solida, rimasta integra e composta da giocatori che hanno trovato tra loro il giusto affiatamento. Capitan D’Angelo è un monumento che ha già collezionato oltre duecento presenze in gialloblù. A centrocampo c’è Corini che detta i tempi e davanti ci sono Corradi e Cossato che si contendono un posto accanto al titolarissimo Marazzina. Ma il vero punto di forza proviene dagli esterni dove ci sono due frecce nere , che mandano letteralmente in delirio i tifosi scaligeri. Eriberto e Manfredini, sono di fatto due assi nella manica di quel Chievo . Il primo fa parlare di se per Rapidita’ , dribbling e buon senso del goal mettendo non poco in difficoltà gli avversari sulla fascia destra. Il secondo, ragazzo ivoriano cresciuto in Italia, vanta un passato nelle giovanili della Juventus ed una lunga gavetta in serie C ( due buoni campionati a Cosenza ed uno a Genoa) , prima di approdare tra i grandi. Delneri individua il suo profilo per affidargli la corsia sinistra e Manfredini vola che è un piacere.
AL FRANCHI L’INIZIO DI UNA STAGIONE DA INCORNICIARE.
Forte di un gruppo ben amalgamato, il Chievo fa il suo esordio in serie A, una giornata di venti anni fa, al cospetto di una grande come la Fiorentina. La società viola tuttavia sta attraversando non uno dei migliori momenti , ma i giocatori sono di tutto rispetto : Nuno Gomes, Chiesa, Di Livio e Cois per citarne alcuni. La partita, giocata su alti ritmi dagli uomini di del NERI, davanti agli occhi sconcertati dei tifosi viola, li vedrà uscire trionfanti al triplice fischio con reti di Perrotta e Marazzina. In molti si affidano al “caso ” cercando spiegazioni dietro ad un risultato a dir poco sorprendente. Ma non e’ un fuoco di paglia e neanche un colpo di fortuna. Il Chievo macina buon gioco , senza badare al nome e alla caratura dell’ avversario ( Juventus, Inter, Milan) ,continuando a stupire mentre strizza l’occhio allo spettacolo. Per lunghi tratti del campionato, gli scaligeri occupano le primissime posizioni della graduatoria, sfiorando addirittura il titolo di campioni d’inverno e ammutolendo al proprio cospetto tutte le cosiddette “grandi”. Nelle battute finali del campionato , addirittura si rivelano una delle pretendenti alla lotta scudetto, dando una mezza spallata all’ inter di Cuper, alla quale sottraggono quattro punti sui sei a disposizione. La storia e’ già scritta. Il sogno che sembrava lontano e’ finalmente diventato realtà.
LA FINE DI UNA FAVOLA.
Nonostante la tragica scomparsa di Mayele’ , nel mese di marzo il gruppo ha saputo restare unito arrivando a toccare la vetta piu alta della montagna. L’ anno successivo non si ripetera’. Di fatto i giornalisti lo definiranno ” il miracolo di ChievoVerona” sulle prime pagine dei quotidiani sportivi. Si perché forse e’ durato tutto un attimo. A tratti e’ sembrato davvero un bellissimo sogno, dal quale era difficile svegliarsi. Quella favola nata in pochi anni e svanita in un battito di ciglia. Una storia sentimentale, autentica che è finita sotto la pelle e dentro il cuore di molti appassionati di calcio. Una di quelle che va al di là dei colori sociali, delle tifoserie, e risuona ancora come le parole di una romantica ed incompiuta canzone d’amore.
Parlare e raccontare di un derby non è mai cosa facile. In particolare tenendo conto del fatto che chi a volte racconta , per origini, da tifoso o per altro, potrebbe inconsciamente assumere prese di posizione fin troppo evidenti al lettore. Ma non è questo il caso , visto e considerato che non sono del posto e che sopratutto ,mi sono appassionato di questa storia , nata all’interno di una conversazione con uno dei diretti protagonisti di quella stagione.
Come e dove nacque il derby?
Il concetto di derby risale all’ incirca al 1700 e si sviluppò in Inghilterra in occasione del game day con l’avvento del Martedi grasso. In particolare, proprio nella città di Derby, fu organizzata una sorta di olimpiade di giochi, ai quali parteciparono anche gran parte dei giovani abitanti residenti nei quartieri limitrofi. Questo portò naturalmente ad innalzare il numero dei partecipanti e di conseguenza la rivalità tra i contendenti e le varie squadre della città. Celebre fu la partita giocata tra i giovani della parrocchia di All-Saints che sfidarono quelli della vicina Saint Peter.La partita fu molto accesa e maschia . Cosi , nonostante gli svariati tentativi da parte del sindaco di interrompere il gioco, per il subbuglio cittadino, la tradizione fu tramandata negli anni fino a quando si giunse a coniare il nome della città , attribuendole il significato comune che tutti noi conosciamo. Oggi ,infatti , un derby rappresenta una qualsiasi partita di calcio giocata con acceso campanilismo tra clubs vicini.
Liguria: aspra terra di pescatori.
Si sbarca direttamente in Liguria .Terra aspra, stretta
tra il mare le Alpi e gli Appennini, dove si alternano zone estremamente
sinuose , con dolci paesaggi che si ergono lungo le coste. La Liguria è una terra ricca di bellezze
naturali in cui il connubio tra terra e mare rende particolarmente eterogenea
la varietà di ecosistemi presenti nel suo territorio .
Si parla tuttavia, nonostante le ridotte dimensioni,
di una delle regioni più densamente popolate della penisola. Al quarto posto
precisamente , dietro solo a Campania, Lombardia e Lazio.
Terra di nomadi, pescatori e abitanti del mare come
recitano le famose parole di un grande artista , nato e cresciuto proprio in
questa terra. Fabrizio Faber De Andrè ( senza dubbio uno
dei più incredibili cantautori italiani ) esalta la sua terra natia in uno dei
suoi celebri testi popolari , cantato per l’occasione in dialetto Genovese:
Umbre de muri, muri de mainé dunde ne vegnì duve l’è ch’ané…
Ombre di facce, facce di marinai da dove venite ,dov’è che andate?…
Il testo di riferimento come ricorderete è CREUZA DE MA. All’interno, i vari riferimenti alla vita di mare, come le voci dei venditori nel mercato del pesce, la celebre frittûa de pigneu e il giancu de Purtufin (frittura di pesciolini e il bianco di Portofino) ci fanno davvero capire quanto il commercio marittimo abbia caratterizzato e influenzato la storia di questa regione fino a costituirne una base solida dell’intera economia. La storia degli antichi borghi liguri racconta anche di poeti solitari. Di porti e insenature che nascondono la magia di speranze ancora vive.
E’incredibilmente sbalorditivo respirare il profumo di vita che questi luoghi ancora conservano, nonostante la clessidra del tempo abbia in qualche modo scalfito evidenti segni del passato.
Fabrizio de André in concerto , canta Creuza de Ma.
Cosi la Liguria appare come un terra antica e al tempo stesso misteriosa, agli occhi dei visitatori. Perché di fatto anche il turismo è l’essenza primaria della sua esistenza. Un richiamo turistico importante per le sue bellezze antropiche e naturali , tra le quali spiccano naturalmente la Riviera dei Fiori a ponente , mentre Le cinque terre , Portofino e Porto venere a Levante. Esattamente in quel lembo di terra attaccato alla Toscana dove il mare accarezza dolcemente gli scogli e l’orizzonte appare come un bellissimo quadro.
Il calcio ligure.
Anche qua il calcio è storia. Di fatto alcune delle più antiche società calcistiche italiane risiedono proprio entro i confini di questa regione. La storia del calcio ligure è anche, almeno per la fase pionieristica, buona parte della storia del calcio italiano. Basti pensare ad esempio al Genoa, che può considerarsi tranquillamente l’antesignano del football in Italia, nonché il vessillifero di questo gioco che andò sempre più affermandosi negli anni, in tutto il territorio nazionale. Se la storia della fondazione del Genoa può essere considerata sufficientemente nota, per via delle molte e documentate pubblicazioni apparse sull’argomento nel corso degli anni, meno noto è il fatto che il primo successo ottenuto da una rappresentativa italiana su di una compagine inglese, abbia avuto come scenario proprio un campo di gioco ligure, posto precisamente, nell’entroterra : stiamo parlando di Vado Ligure . Correva la primavera del 1893 quando la compagine torinese allestita dal commerciante Bosio (il co-fondatore del calcio italiano, assieme ai genovesi) si impose con il punteggio di 2-1 ad una rappresentativa di marinai inglesi. E’ infatti importante ricordare, a proposito di quella partita, che il calcio fu portato ovunque proprio dai marinai inglesi.
“C’erano palloni in ogni stiva. Via via che gli inglesi facevano affari nel mondo, le loro navi partivano e i commerci si espandevano. Il calcio si espandeva con loro.” Mario Sconcerti .
Sono del 1874 le prime partite ufficiali sulle spiagge di Botafogo, in Brasile. Le giocano marinai, inglesi residenti a Rio e giovani del posto. Dieci anni più tardi la stessa cosa accade a Lisbona e Marsiglia. Il calcio segue il mare. Ecco il motivo . Così in Italia nasce a Genova.
La partita giocata nel 1893 rappresentò di fatto la prima forma di football in Liguria, dalla quale successivamente si diramò e si sviluppò tutto il filone del calcio ligure. Che tra gli inglesi e il calcio in Liguria ci fosse una connessione è più che certo , soprattutto per quanto riguarda la città di Genova. Ma al di fuori di Genova, il calcio naturalmente aveva comunque conosciuto altre medio piccole realtà che avevano iniziato a prender forma dandosi battaglia nella periferia della città. Per esempio l’ Andrea Doria o la Sampierdarenese tra le quali vi era un’accesa rivalità.
Quest’ultime tuttavia daranno origine all’attuale Sampdoria raggiungendo un accordo nel 1946 che le vide fondersi in un unica società . Inizialmente denominata Unione calcistica sampierdarenese-doria e successivamente diventata Unione calcio Sampdoria.
Naturalmente ve ne erano tante altre , perché il calcio ligure detiene un pezzo di storia calcistica della nostra penisola. Per esempio la Sanremese , il cui rettangolo di casa ancora tutt’oggi vanta una struttura molto particolare dove le tribune sono ornate da capitelli e colonne che ricordano molto l’antica Grecia.
Scorcio della Tribuna dello storico impianto di casa della Sanremese.
Imperia, Ventimigliese, Entella Chiavari, Albenga , Rapallo sono altre epocali società racchiuse in questo lembo di terra gentile , uno scrigno che calcisticamente parlando racchiude storie incredibili .
La partita .
Ne è passato di tempo da quel fatidico 5 Ottobre 2008, quando al Mirco Luperi di Sarzana si è compiuto il miracolo. Per qualche secondo si è improvvisamente fermato il battito dei 4’200 cuori ,che con incredulità hanno assistito a quell’ impresa . Entrata nella storia e rimasta indelebilmente nella testa di ognuno dei presenti.
Sarzanese e Spezia nel cerchio di centrocampo prima del fischio d’inizio
Non era mai accaduto e nessuno lo aveva previsto che la piccola provinciale incontrasse nel suo cammino il colosso “capoluogo” . Non è proprio questo forse il termine esatto, ma serve per definire una realtà ( quella della Spezia ) abituata a sedersi tra le grandi. Viziata da lussuosi palcoscenici e fin troppo convinta probabilmente , di assaporare un piatto non proprio all’altezza delle proprie abitudini.
La Spezia di fatto , si presentò ai nastri di partenza di quella stagione, reduce da un subbuglio societario non indifferente. Gli aquilotti , per l’occasione retrocessi dalla serie cadetta, hanno mantenuto vive le loro speranze fino all’ultimo giorno. Il fatidico, che ne annunciò il definitivo fallimento, dopo la mancata iscrizione alla terza serie italiana.
Si riparte dal basso , dai dilettanti, dove tuttavia non mancano all’appello realtà di rilievo che sognano un ritorno tra i professionisti. La strada verso la vetta si presenta tutt’altro che semplice. Considerato il fatto , che durante il cammino , le piccole avrebbero fatto di tutto per rendere la scalata ancora più dura.
Il giorno del derby arriva proprio in una soleggiata domenica di Ottobre. Non è un derby qualunque . E’ il derby ligure per eccellenza, uno di quelli che si giocano una volta nella vita. Un’occasione irripetibile che ancora una volta ripropone l’epiteto di Davide contro Golia. Lo stadio dei padroni di casa ospita il pubblico delle grandi occasioni, e per un istante sembra davvero che la clessidra del tempo abbia improvvisamente deciso di fermarsi al triplice fischio tra le mura del Mirco Luperi.
Le interviste: Davide Angelotti.
Per capire e ricordare nei particolari quella giornata, ho avuto il piacere di intervistare due protagonisti della Sarzanese.
Davide Angelotti, classe ’85, attaccante.Ciao Davide ! E’ un piacere averti qua. Calcisticamente sei cresciuto nelle giovanili della Sarzanese, la società che ti ha poi anche lanciato nel calcio Professionistico.
Dopo alcune esperienze tra i professionisti appunto, (la più importante sicuramente quella a Como) torni nella stagione 2008/09 a Sarzana per disputare il campionato nazionale dilettanti. Ti chiedo, che effetto ti ha fatto e quali emozioni si provano a giocare nella massima serie dilettante , difendendo i colori della propria città?
Sicuramente
è stato motivo di orgoglio soprattutto in un campionato come la serie D che può
essere una bella vetrina per qualsiasi giovane che ha voglia di farsi di notare
e che vuole provare la scalata verso il calcio professionistico.
Entriamo un po’ nel vivo della stagione in questione. Il girone A di Serie D,vede ai nastri di partenza alcune importanti realtà del panorama calcistico italiano che già negli anni precedenti avevano militato proprio tra i professionisti. Savona, Cuneo, Biellese e niente di meno che La Spezia ( per l’occasione retrocessa dalla serie cadetta e mancata iscrizione al campionato di serie C. Ecco Davide, quali erano le vostre aspettative da società neopromossa?
Sapevamo che sarebbe stato un campionato complicato e difficile . Come hai detto precedentemente era un girone composto da realtà importanti che aspiravano alla vittoria del campionato e quindi all’ennesimo salto di categoria. La maggior parte di queste squadre era molto ben attrezzata ed aveva a disposizione giocatori di categorie superiori. Un esempio su tutti un certo LULU’ OLIVEIRA che in quella stagione militava nelle file del Derthona. Noi siamo partiti con un obbiettivo salvezza naturalmente cercando di mantenere la categoria.
Senza dubbio un girone impegnativo ma i risultati vi hanno fatto consolidare un buon quarto posto a fine stagione, centrando tra l’altro un grande traguardo chiamato play off.
Qual’è stata secondo te la forza o per meglio dire il segreto del vostro gruppo?
La nostra forza era data dal fatto che la maggior parte dei componenti di quella rosa erano amici anche fuori dal campo. C’era un legame solido tra compagni di squadra, quindi è stato tutto più facile. Era bello andare al campo ad allenarsi e non vedevamo l’ora di vincere la domenica per continuare la festa anche dopo la gara. E poi in fondo, sapevamo di essere forti, non presuntuosi ma ben consapevoli delle nostre qualità.
Una derby season, se cosi si può definire a livello regionale proprio per l’alto numero di compagini liguri presenti. Tra queste Savona, Sestri levante,Novi ligure, Lavagna ma ovviamente con LA SPEZIA resta il più significativo ed il derby per eccellenza. Un derby vero , di quelli che capitano una sola volta nella vita ed ha naturalmente un sapore magico ed oggi aggiungerei , anche decisamente nostalgico. Ricordi qual’era il clima spogliatoio nel corso della settimana che vi avrebbe accompagnato a giocarlo, e come lo avete vissuto te e i tuoi compagni?
Personalmente , appena è uscito il calendario , sono subito andato a curiosare quando avremmo giocato con La Spezia. Noi abbiamo vissuto l’avvicinamento a quella partita con grande serenità e tensione positiva. Fondamentalmente non ci spaventava affatto l’idea di affrontare una società di quel blasone. Erano loro piuttosto che avevano tutto da perdere. Noi avevamo la possibilità di fare la storia per la Sarzanese. Fu un occasione più unica che rara e riuscimmo a batterli incredibilmente proprio davanti al nostro pubblico , in una cornice di circa 4200 presenti sugli spalti. E’ stata una grande giornata, indimenticabile!
Entriamo un po’ nel vivo della gara, Come ha preparato , il mister quel derby e cosa vi ha detto nello spogliatoio?
La
preparazione della partita da parte del mister è stata molto tranquilla e
serena . Come ho detto in precedenza erano loro che avevano tutto da perdere .
Nello spogliatoio essenzialmente ci ha detto di pensare a divertirsi
sgomberando la mente da qualsiasi tipo di tensione agonistica.
Il sapore di un derby che arriva una volta nella vita , in questo caso va gustato goccia dopo goccia. Consapevolezza dei propri mezzi e profilo umile sono fin da sempre gli ingredienti della combinazione perfetta. Credevate in quella vittoria già dal pre-gara o pensavate a come limitare i danni , visto la caratura dell’avversario?
La speranza è sempre quella di riuscire a vincere ogni singola gara , in particolar modo quando ti capita l’occasione “ghiotta” di un derby contro una squadra più blasonata di te. In quel caso, uno Spezia che veniva dalla serie cadetta, e che si era ritrovato a giocare contro di noi per la mancata iscrizione al campionato di Lega pro. Sicuramente sapevamo che in difesa dovevamo fare una partita ai limiti della perfezione limitando al massimo gli errori. Se poi si fosse presentata anche una minima chance di segnare, dovevamo naturalmente restar lucidi e cinici sotto porta.
Davanti a 4200 spettatori avete conquistato 3 punti e sopratutto la vittoria di un derby che storicamente parlando, ha un sapore del tutto nostalgico. Goal vittoria che tra l’altro arriva nella maniera più rocambolesca. Come un fulmine a ciel sereno dopo appena un minuto di gioco, si abbatte sugli aquilotti e butta all’aria i loro piani. In che momento della gara, tu e i tuoi compagni avete capito di poter raggiungere veramente quello storico trionfo?
Credo che verso l’ultimo quarto di orologio, abbiamo iniziato ad assaporare l’aria dell’impresa. Abbiamo fatto una gara di sacrificio in tutti i reparti tenendo testa alle loro incursioni. Non potevamo gettare tutto al vento, dopo tutti quei minuti già trascorsi. Con una prova di carattere, siamo riusciti a portarla in fondo ….poi è esplosa la festa.
Tifosi della Sarzanese festanti in tribuna
Il calcio tante volte da, altre toglie ma le grandi imprese restano stampate nel cuore della gentee di chi in particolare , come te, le ha vissute in prima persona.Che effetto ti ha fatto vincere il “derby dei derby” da protagonista?
E’ stato sicuramente un grande motivo d’orgoglio. Il bello del calcio è anche questo; si gioca e si comincia a giocare anche per vivere momenti come quelli E’ vero, e mi fa molto piacere che la gente ricordi ancora con un entusiasmo nostalgico quella grande giornata.
Ricordo quando in una delle nostre tante conversazioni, poco prima che decidessi di mettere tutto per iscritto , sorridendo mi dicesti: Molti pensano che il vero derby ligure sia quello della lanterna Samp-Genoa, ma in realtà il vero derby è SARZANESE-SPEZIA. Sai da questa tua affermazione, diciamo, ho avuto l’input decisivo per iniziare a raccontare di questa indimenticabile e nostalgica impresa. Guardando indietro al passato , quanto ti mancano quei giorni e soprattutto quanto è realmente cambiato il calcio di oggi?
Assolutamente
sì il vero derby è Sarzanese – Speziae
fortunatamente abbiamo avuto il piacere di vincerlo. Questo implica
naturalmente una maggiore soddisfazione.
Di
quel periodo mi manca molto il fatto di poter giocare per i colori della mia
città , in un ambiente familiare e circondato da amici. Non sempre il luogo
dove sei cresciuto si incrocia con le nostre passioni. Voglio dire, molti
calciatori devono fare i km talvolta per aver la possibilità di giocare ad un
certo livello. Per questo , mi ritengo fortunato , semplicemente perché giocavo
a calcio seguendo le mie passioni, nella città che mi ha visto nascere . Per me
è stato un onore vestire quella maglia in un derby di quello spessore.
Il calcio , credo sia cambiato tanto. Forse un po’ anche per colpa dei social. Talvolta anche sui social appunto, si tende ad esaltare fin troppo ragazzi che vantano un buon profilo calcistico. E molti di loro finiscono per sentirsi arrivati.
Siamo alla domanda conclusiva, quella che ci porta diretti al termine di questa piacevole chiacchierata. Trattare questo derby in chiave nostalgica, ha sicuramente sollevato in me un enorme curiosità ed allo stesso tempo voglia di avvicinamento al mondo dilettante. Non sempre GOLIA prevale su DAVIDE. Non sempre il LUSSO luccica più del SOBRIO. E per finire non sempre il RICCO possiede più ricchezza del POVERO. Ci sono storie, come questa che ti appassionano e ti fanno capire davvero come lo sport sia un ottima palestra di vita. Il piccolo che prevale sul grande. Fa parte dell’imprevedibilità dei fatti. Della vita. Ecco DAVIDE, della tua esperienza e carriera calcistica hai qualche rimpianto? E quali suggerimenti daresti ai giovani di oggi nell’ottica di far capire loro che certi traguardi si conquistano solo con sacrificio, dedizione ma soprattutto con una bella dose di umiltà , quella che forse maggiormente manca oggi?
Mah
rimpianti ? Non saprei. Credo che nella vita che viviamo , chi più chi meno ,
ma tutti abbiamo comunque dei rimpianti. Fare la cosa giusta al momento giusto
è sempre complicato. A volte si riesce , altre no. La vita è equilibrio. Ci
saranno sempre degli alti e bassi ma riuscire a galleggiare in questo
equilibrio è il segreto della felicità. Provarci, fallire, cadere, rialzarsi
poi piangere o gioire. Tutto gravita su di noi. Siamo i principali attori di
questo cammino ed ognuno sceglie il proprio.
Una cosa l’ho imparata: se fai tutto per amore non sbaglierai mai. Fare scelte per amore e quindi passione , non vuol dire fare la scelta più facile. Con una metafora , spesso è dai sentieri più tortuosi che si scorgono bellissimi paesaggi. Quindi il consiglio che posso dare ai giovani atleti, è quello di provarci sempre fino alla fine. Con umiltà , sacrificio e consapevolezza dell’obbiettivo che si vuole raggiungere nella vita. Il resto non conta.
A colloquio con Alessandro Cesarini.
Ciao Alessandro! Piacere di conoscerti , sono molto entusiasta di cogliere quest’opportunità per intervistarti. Classe 1989, tu adesso militi a Piacenza dopo una lunga carriera , partita naturalmente dalla maglia e i colori della tua città: Sarzana. E’ proprio nella Sarzanese che inizi a dare i primi calci e di quest’ultima vogliamo parlare nel nostro articolo. In particolare di un derby storico che anche tu hai vissuto in prima persona nella stagione 2008/09 contro gli aquilotti della Spezia. Prima di addentrarsi nello specifico, vorrei però chiederti:
A che età hai cominciato a giocare?
Ciao Andrea , ti ringrazio tanto per questa bella intervista e per avermi dato modo di parlare e ricordare tanti momenti belli della mia carriera ,come quel periodo con la Sarzanese. I miei genitori mi dicono che giocavo in continuazione a pallone fin da piccolissimo,con loro e specialmente con mio nonno Libero.
Per cui all’età di 4 anni mi portarono alla scuola calcio che però prevedeva l’inizio dell’attività da sei anni in su. Dopo qualche allenamento mi presero con i più grandi e da lì inizio’ ufficialmente la mia avventura nel calcio .
Cosa rappresenta per te da ieri fino ad oggi il calcio?
Per me il calcio rappresenta divertimento e passione e queste parole mi hanno sempre accompagnato,sia prima quando sognavo come tutti i bambini di diventare un calciatore e poi anche e soprattutto dopo,nella mia carriera. Anche un professionista non può e non deve mai prescindere dal divertirsi in campo per poter inseguire e raggiungere i propri sogni. Il mio obbiettivo è’ stato sempre divertirmi e far divertire la gente che viene allo stadio ovviamente cercando di vincere e segnare.
Nella carriera di un calciatore , fatta naturalmente di alti e bassi, si possono cogliere svariate sfumature che a seconda delle circostanze talvolta possono assumere diverse interpretazioni. La domanda che voglio rivolgerti è: hai sempre inseguito i tuoi obbiettivi e i tuoi sogni in modo costante, con determinazione, o ci sono stati momenti durante il cammino in cui hai pensato di mollare?
Grazie a dio ho vissuto tanti momenti belli,la maggior parte. Purtroppo c’e’ stato qualche momento brutto, per esempio ho dovuto subire tre operazioni in momenti importanti della mia carriera che in qualche modo la hanno condizionata. Ho avuto un operazione di ernia inguinale e altre due per la frattura di perone e caviglia. Sono stato fuori tanti mesi e non sono stati momenti facili,non ti nego di aver pensato anche di smettere a volte,ma la fede e la mia famiglia, in particolare mia moglie mi hanno aiutato tanto . Oltre ovviamente alla grande voglia che avevo ogni giorno di riabilitazione di poter tornare in campo ad esultare per un goal .
Che significato ha avuto per te vestire e difendere i colori della città nella quale sei nato?
E’ stato sicuramente un orgoglio vestire la maglia della Sarzanese perché oltre ad essere la città dove sono nato e dove vivo e’ una società storica. Mi ha dato la possibilità di esordire in prima squadra all’età di 17 anni e la fiducia di cui avevo bisogno e che mi ha permesso di crescere ed esprimermi al meglio per poi approdare nel professionismo .
Raccontaci brevemente qualcosa sulla tua carriera nelle giovanili.
Da bambino giocavo nella squadra del mio paese che si chiamava Fo.Ce. Vara. Successivamente sono passato due anni in una squadra satellite dell’Inter per poi all’età di 13 anni arrivare allo Spezia Calcio (squadra di cui ero tifoso e che spesso andavo a vedere allo stadio) con cui ho fatto tutta la trafila nei vari campionati professionistici nazionali fino alla primavera.
Dopo alcune esperienze tra i professionisti appunto, militando proprio tra le fila degli aquilotti , approdi nella stagione 2007 nella Sarzanese, restandovi per un paio di stagioni. Com’è stato ritrovare i tuoi vecchi compagni, e soprattutto l’atmosfera di un ambiente di “casa” ?
Dopo un’annata bellissima trascorsa negli allievi dello Spezia è arrivato l’anno della Primavera . Fu un’annata un po’ travagliata, nella quale non mi trovai molto bene con allenatori e dirigenti. Quindi non senza un po’ di delusione , decisi di cambiare e accettare la chiamata della Sarzanese, che militava in serie D. Dopo un piccolo periodo nella juniores fui subito aggregato in prima squadra. Diciamo che fu un piccolo passo indietro ,ma che mi permise in realtà di farne tre avanti e di quel periodo ho solo ricordi belli. Un gruppo di amici che tutt’ora coltivo e di una realtà per cui provo grande gratitudine.
Cesarini in azione protegge la palla raddoppiato da due giocatori aquilotti.
Entriamo nel vivo della stagione da noi presa in considerazione. Annata 2008/09 ,il girone A di Serie D vede ai nastri di partenza alcune importanti realtà del panorama calcistico italiano che già negli anni precedenti avevano militato proprio tra i professionisti. Savona, Cuneo, Biellese e niente di meno che La Spezia ,per l’occasione retrocessa dalla serie cadetta e mancata iscrizione al campionato di serie C . Tu personalmente come hai vissuto l’idea di affrontare un derby, se cosi si può definire storico, contro una compagine che per lo più vantava un blasone nettamente superiore?
Quell’annata fu per me quella della conferma, poiché venivo schierato da titolare e riuscii anche a realizzare 10 gol in stagione contribuendo al conseguente raggiungimento dei play off. Per quanto riguarda il derby ricordo che furono emozioni incredibili e contrastanti perché da un lato , avevo la voglia di dimostrare che forse si erano sbagliati a lasciarmi andare qualche anno prima, dall’altro l’emozione di un ragazzino tifoso dello spezia da sempre, che si apprestava a giocarci contro ,perlopiù davanti a quasi 5 mila persone.Una cornice di pubblico mai vista a Sarzana , fu motivo di orgoglio e dunque una giornata davvero storica.
Partita che sicuramente è rimasta impressa nel cuore dei tifosi e in quello di chi come te l’ha vissuta in prima persona. Cosa ricordi di quel post gara, e quali emozioni si provano ad uscire vittoriosi dal derby dei derby ? Ricordo il riscaldamento pre gara quasi surreale per le tantissime persone presenti a cui non eravamo abituati. L’emozione di giocare davanti a familiari, parenti, amici e tantissimi sportivi sarzanesi . Si respirava l’attesa e l’adrenalina delle grandi occasioni. Ricordo il mio ingresso in campo,una bella azione in cui ho sfiorato il gol e poi soprattutto la festa finale nello spogliatoio.
Momento dell’ingresso in campo di Ceasrini.
Se ti voltassi indietro adesso, in questo esatto momento, ti accorgi di quanta strada hai percorso dalla vittoria di quel fatidico derby. Ecco ti capita mai di sentire nostalgia di quei giorni e qual’è la cosa che più ti manca ?
Sicuramente se mi voltassi indietro di strada da quel derby ne ho percorsa tanta nel calcio e questo non può che farmi piacere. Nella mia carriera , ho giocato più di 400 partite e fatto 112 gol. Ma sicuramente quello che in questo momento forse mi manca di più di quel periodo bellissimo e’ la spensieratezza e la freschezza fisica che mi permettevano di non pensare a nient’altro al di fuori del calcio. Affrontato sempre col sorriso e tanta voglia di divertirsi .
Hai ancora contatti con gli ex compagni di quella Sarzanese e vi è capitato di ricordare , parlando, aneddoti dello storico trionfo?
Si, certo . Due dei miei migliori amici facevano parte di quella Sarzanese e siamo in contatto giornaliero, quindi spesso durante le nostre cene ricordiamo quegli anni. Aneddoti ed emozioni che rimarranno indelebili per sempre nei nostri cuori. Lo stesso stadio Miro Luperi per noi e’ un posto familiare a cui siamo particolarmente legati .
Siamo giunti alla fine di questa piacevole conversazione, e naturalmente non sai quanto piacere mi abbia fatto poterti intervistare. Il calcio, come la vita, a volte da e altre toglie. E’ sempre importante però continuare a “lottare” con dedizione, perseveranza ed umiltà. Soffermandoti su questa mia ultima riflessione, in particolare dal punto di vista dell’umiltà , ritieni che il calcio di oggi sia cambiato in meglio o in peggio?
Hai assolutamente ragione. Penso che queste prerogative non debbano mai mancare. Il calcio sicuramente e’ cambiato rispetto a quando ho iniziato a giocare. Per esempio prima per far sì che un giovane esordisse o arrivasse solo ad allenarsi con la prima squadra doveva essere davvero fortissimo e meritarsi questa opportunità in campo ma soprattutto fuori. Adesso le regole sono cambiate e favoriscono in modo anche troppo facile e veloce l’approdo di tanti giovani ,che probabilmente a volte non sono ancora pronti. Credo che il livello si sia un po’ abbassato rispetto a dieci anni fa. Ci vorrebbe un po’ più di equilibrio ma il calcio e’ così bello che regala emozioni che nessun altro sport a mio parere può regalare e questo rimarrà per sempre. Sicuramente per arrivare a certi livelli e restarci più a lungo possibile, c’è bisogno di tanta passione, voglia di sacrificarsi ogni giorno per migliorare e provare a realizzare i propri sogni .
Forse non è neanche troppo corretto affiancarlo a qualche ente supremo , ma è bensì logico pensare che Diego su quel piede sinistro fosse stato baciato da una qualsivoglia forma di perfezione. Quando certe giocate riesci a pensarle prima di metterle in atto, esattamente come quella incredula “Mano de Dios” , davanti agli occhi del pianeta, allora è anche del tutto chiaro che dal talento si passa al genio.
La celebre Mano de Dios , con la quale Maradona regalò il vantaggio all’albiceleste nell’incontro con gli inglesi.
Il ricco di talento realizza alla perfezione quello che è già stato inventato, mentre il genio inventa cose che non esistono. Un ricco di talento risolve cose difficili e può farlo in modo brillante. Il genio dal canto suo, risolve quello che nessun altro può risolvere. Risuonano ancora nelle orecchie di mezzo mondo le parole pronunciate dallo storico commentatore uruguaiano nella partita contro gli inglesi al mondiale 1986 :
” Genio , genio ,genio ta , ta ta , ta …”
Quasi a scandire una sinfonia ritmata, in quella che fu la giocata del secolo.
Maradona è stato un incredibile generatore di sorprese, uno straordinario artefice dell’insperato, del diverso. Eppure il calcio ne ha conosciute di sinfonie, ma quella di Diego ha suonato e continua a risuonare in ogni angolo del globo.
Maradona alza al cielo la Coppa del Mondo 1986 , allo stadio Azteca di Città del Messico.
C’è chi ancora non riesce a credere che uno dei profeti del calcio ci abbia improvvisamente lasciato. Lo ha strappato alla vita un improvviso arresto cardiaco , nella sua casa di Tigre , dove da qualche giorno si trovava in convalescenza, in seguito ad un operazione alla testa.
Residenza di Diego nella città di Tigre , nella provincia di Buenos Aires.
La sua amata Argentina continua ad asciugare lacrime in ginocchio, in un momento del tutto delicato al quale fa da sfondo una terribile situazione pandemica. Oltreoceano invece , a Napoli, in quella fetta d’Italia che per Diego ” perdiò la cabeza”, seppur in piena emergenza virus , non si è potuto fare a meno di rendergli omaggio riuniti sotto ad una sua gigantografia Murales .
Braccia al cielo per Diego Maradona , nella festa scudetto del Napoli 1987 .
Un personaggio pieno di contraddizioni, dal quale però è praticamente impossibile scindere l’uomo dal giocatore. Due facce della stessa medaglia.Un genio sul rettangolo, che imprestato ad uomo non del tutto solido, svaniva per lasciar spazio ad una fragilità piena di vizi davanti alla vita.
Di lì le numerose bravate, la dipendenza da cocaina che ne limitarono la carriera. E lui forse lo aveva accettato. Una sorta di auto condanna mentre provava a far pace con se stesso. Un tunnel dal quale in realtà non è mai uscito. Quell’urlo liberatorio davanti alle telecamere nel mondiale americano, prima dell’imminente squalifica per doping, divenuto ben presto il crocevia tra il campione e il fallimento.
L’urlo spiritato del Pibe de Oro , dopo aver segnato nella gara contro la Grecia ad Usa ’94
Ci sono domande , alle quali tutt’ora è difficile trovare una risposta, ma che Diego facesse cose mai viste prima con la palla , lì non ci piove. Come quella fatidica punizione nell’area juventina, dove segnare , davanti al ravvicinato muro bianconero, sembrava tutt’altro che facile. Bastò una leggiadra carezza alla sfera, con quel sinistro fatato per mandare in delirio i partenopei . Ed ecco che l’impossibile era reso possibile.
La magistrale punizione di Diego contro i rivali bianconeri.
Difficile giudicare e fare paragoni con l’antagonista Pelé , per stabilire quali dei due sia stato effettivamente il calciatore più grande di tutti i tempi. Malgrado le epoche diverse , Diego sul rettangolo ha fatto cose impossibili, che nessuno mai saprà mostrare. Proprio questo forse, spingeva tutti noi bambini , dentro a quel sogno chiamato Diego Armando Maradona, mentre cercavamo di emularne le gesta , con ” la diez” sulle spalle.
Diego Maradona con la maglia del Napoli sulla sx e Pelé sulla dx .
Intere generazioni che hanno tramandato il suo nome attraverso il calcio. E questo è quanto basta per coltivare il ricordo di un genio del pallone, un fuoriclasse, che più di altri è riuscito a scrivere una delle più incredibili pagine di storia di questo gioco . E’ davvero stupefacente intuire , come certe icone dello sport , campioni , riescano ad entrare nel cuore della gente e raccogliere un così alto numero di consensi. Nel caso di Diego lasciamo che il mistero prosegua.
Un Murales che rende omaggio al Pibe de Oro a Buenos Aires , in Argentina.
Quando estro e fantasia diventano un corpo unico. Quando il calcio passa dall’essere giocato al sembrare ballato, la prima interpretazione per gli amanti di questo sport porta tra le favelas e i campetti di periferia brasiliani. Dove la povertà svergogna le diseguaglianze generate dalle spropositate ambizioni dell’uomo, dove un pallone diventa, anche la notte, l’unico compagno di cuscino, nella speranza che un sogno un giorno possa cambiare una durissima realtà. Qui spesso risiede la culla dei più grandi fuoriclasse del panorama calcistico mondiale.
“Puoi togliere un uomo dalla favela, ma non puoi togliere la favela da dentro a quell’uomo” recita un vecchio ed amaro proverbio brasiliano: bambini su strade degradate, un pallone e un sogno nel cassetto fanno da contorno ad una nazione, più che mai al centro dell’universo calcistico.
Un paese sconfinato, quasi ossessionato dall’ intento di dare al mondo un’immagine che rimuova la cruda realtà delle favelas. Veri e propri quartieri ,talvolta pressoché invalicabili persino di giorno, dove i bambini familiarizzano fin da piccoli con il rumore delle armi ed il pallone , quasi fossero le facce di un’inevitabile medaglia che rappresenta la loro vita.
Così le gesta leggendarie dei campioni , riecheggiano nella storia di una Seleção che è partita dalle favelas per salire e restare per decenni sul gradino più alto del mondo del calcio. Oggi la nazionale brasiliana, è quasi totalmente rinnovata ed imperniata su giovani di enorme talento, gran parte dei quali già ingaggiati in Europa. Ma questa è tutt’altra storia.
Un bimbo prodigio alla conquista del mondo.
Nato il 29 gennaio 1966 a Rio de Janeiro , Romário de Souza Faria meglio noto col soprannome di ” O’Baixinho ” per la sua minuta statura, cresce nel difficile Bairro di Jacarezinho, una delle peggiori favelas di Rio . L’amore a prima vista per il pallone parte dallo street soccer in salsa brasiliana, formato di gioco che comporta confronti da 1 contro 1 , a 4 contro 4 .Dopo i primi calci su campo a 11 nella squadra dell’Estrelinha di Vila de Penha, una società fondata dal padre , approda nelle file juniores dell’ Olaria per poi passare al Vasco da Gama nel 1985.
Romário con la maglia del Vasco de Gama e il con-nazionale Bebeto con quella del Flamengo (1985).
E’ l’inizio di una stupenda pagina di storia per la società e il brasiliano , che porta subito in dote due campionati , oltre a laurearsi miglior goleador assoluto della competizione. Un personaggio assai complesso che rispecchia nell’animo i mille volti della sua terra. Un mix di talento e contraddizioni . Amante del gol come degli eccessi. Bizzoso e indomabile per molti allenatori , una vera e propria sentenza per i portieri. Basso di statura, ma forte fisicamente e inarrestabile nello scatto, Romário possedeva tutte le qualità dell’infallibile cannoniere: il dribbling stretto, per non parlare delle celebri ” Colas de Vaca” ed un’innato senso del goal che lo hanno reso uno dei più incredibili “falchi da area di rigore” di tutti i tempi.
La famosa “Cola de vaca” di O’Baixinho nel Superclásico . Gesto tecnico di alto livello.
Numeri, goals ed un prodigioso talento lo portano alla corte del PSV nell’Estate del 1988 dove si accasarà per ben 5 anni vincendo tre scudetti, 2 coppe nazionali e una Supercoppa olandese. Fu però con la nazionale olimpica che si rivelò al mondo. Precisamente alle Olimpiadi di Seoul ’88. Il Brasile si trova ai nastri di partenza con una rosa che puntava tutto sulle giovani promesse. Attorno a Romario ,fulcro di quella nazionale, fu allestita una formazione di eccellente livello tecnico, che schierava tra i pali un certo Claudio Taffarel, il laterale Jorginho e in particolare l’altro gemello del goal: Bebeto.
Tuttavia a Seoul , i verdeoro dovettero accontentarsi dell’argento a discapito di una più compatta e inarrestabile Unione Sovietica. Chi fu il capocannoniere , naturalmente non sto a specificarlo. Show de bola o’ Baixinho!
Romario: la leggerezza dell’inarrestabilità.
Sbarcò in Europa nell’estate del ’88, accasandosi alla corte dei freschi campioni europei in carica: Il PSV Eindhoven. Deliziò i palati degli appassionati, con una prestazione sublime in coppa intercontinentale, sfumata contro gli avversari del Nacional Montevideo. Venne convocato in nazionale per la Coppa America ’89 . La Seleção a corto di titoli dal 1970 non poteva sbagliare. Ancora una volta Romario si conferma “uomo decisivo” beffando gli uruguaiani con un infallibile colpo di testa, nella cornice di un Maracanà gia’ vestito a festa.
Il mondiale di Italia ’90 era a portata di convocazione , ma un brutto infortunio, gli impedì di giocare . Per lui solo 65 minuti contro la Scozia nella fase iniziale, prima di assistere dalla panchina all’eliminazione verde oro ad opera dei diretti rivali argentini.
Romário durante una fase di gioco di Brasile – Scozia al mondiale di Italia ’90.
O’Baixinho è nel pieno della sua forma e continua la sua crescita in modo esponenziale. A tal punto che i grandi club bussano alla sua porta per arricchire le loro bacheche. Ci provò anche il Milan , una delle più forti formazioni dell’epoca. Ma alla fine , fu il Barcellona ad aggiudicarsene le prestazioni. In blaugrana Romário visse senza dubbio la parentesi più esaltante della sua carriera. Dopo essersi laureato campione di Spagna nel ’94 , prese in mano le redini della squadra trascinandola fino all ‘atto finale della Champions league, dove affrontò proprio i diavoli rosso- neri guidati da Capello. I giochi non andarono come previsto. I tatticismi del gioco capelliano , imprigionarono nella morsa la fantasia dei blaugrana. O’Baixinho braccato da Maldini e Galli non riusci a finalizzare.
USA 94: IL MONDIALE DELLA CONSACRAZIONE.
Un mondiale pieno di strane vicende. Dalla squalifica di Diego per doping , alla tragica morte del difensore colombiano Andrés Escobar per aver causato l’eliminazione dei Cafeteros . Ma fu sopratutto il mondiale dei verde oro e della coppia Bebeto- Romário . O’Baixinho , rappresentava del resto una delle stelle di quell’edizione insieme ai vari Roberto Baggio, il bulgaro Stoichkhov e non poteva deludere le aspettative. Ando’ a segno con Russia, Camerun e Svezia nel girone eliminatorio. Poi lascio’ spazio all’amico Bebeto negli ottavi , contro i padroni di casa degli Stati Uniti, per tornar di nuovo protagonista nel 3-2 rifilato all’Olanda con uno spunto da autentico predone dell’area di rigore. Come se non bastasse, in semifinale, un’altra sua celebre capocciata permise al Brasile di aver la meglio sugli Svedesi centrando la meritata finale. Quello che accadde nel forno del Rose Bowl di Pasadena quel 17 Luglio, tutti ce lo ricordiamo. Quei “maledetti” rigori sancirono il trionfo dei brasiliani , e forse lassù tra gli dei del calcio qualcuno lo aveva già scritto.
Romário con la bandiera della Seleção , durante i festeggiamenti ad Usa ’94.
Ritorno in patria.
A seguito dei rilevanti disaccordi con il tecnico Crujiff, Romário ruppe con il Barcellona e torno’ in Brasile. Approda al Flamengo dove però fece più notizia per la condotta della sua vita sregolata, che per le grandi prestazioni agonistiche. Menomale ci pensava la Seleção a farlo sentire il campione di sempre. Nel 1997 conquistò infatti a suon di gol la Coppa America e la FIFA Confederations Cup, vincendo così tutto ciò che era possibile a livello di Nazionale maggiore. In coppia con il giovane Ronaldo, si preparò a dare un nuovo assalto al titolo mondiale, ma un brutto infortunio muscolare alla vigilia di Francia ’98 tolse agli appassionati la gioia di poter ammirare il tandem offensivo più brillante in circolazione.
Il sopraggiungere degli anni 2000 portò stimoli per il raggiungimento di nuovi obiettivi. Uno su tutti, centrare la 1000 esima rete in carriera. O’ Baixinho rientra nel vortice dei trasferimenti . Dal Vasco al Fluminense , poi in Qatar per finire addirittura a Miami ed in Australia. Il sogno si avvero’ il 20 Maggio 2007 realizzando con la maglia del Vasco il fatidico ” Milésimo” su rigore .
Un personaggio, un atleta pieno di contraddizioni ma al tempo stesso uno dei maggiori esponenti del calcio verde oro. Chi ha avuto la fortuna e il piacere di vederlo giocare, ancora oggi lo ricorda per quella rapace propensione al goal. Per quella sua eccentrica voglia di emergere e improvvisamente uscire di scena perdendosi tra i vizi di una vita sregolata. O’ Baixinho sul campo , oltre che Samba e Saudade è stato l’emblema della voce delle favelas e di chi non dimentica le origini di un passato , sfuggito a dolore e delinquenza.
Fin da sempre grande appassionato di calcio. In
particolare delle storie romantiche che nascono all’interno del suo contesto.
Ritengo che il concetto di squadra abbia origine e si sviluppi in età fanciulla, dove valori sani del mondo del pallone come il divertimento ,l’attaccamento alla maglia e la correttezza con l’avversario rappresentano facce della stessa medaglia. Per questa ragione, coltivo l’idea che il settore giovanile,svolga all’interno del profilo società, una funzione di vitale importanza. Qui, forse non è del tutto errato provare a fare una similitudine, accostando il suo concetto a quello di “nido”. Il settore giovanile del resto rappresenta una sorta di nicchia nel quale ogni piccolo atleta cresce, matura per poi imparare a “volare “coltivando sogni ben più grandi, senza tralasciare naturalmente il passato e i ricordi di un’infanzia piena di storie incredibili. Come già sostenuto in uno dei miei articoli precedenti, dedicato al calcio di strada, tengo a ribadire di fatto , che oggi il settore giovanile costituisce l’ultimo baluardo del calcio inteso come puro divertimento. Uno scrigno che rivela e conserva nel tempo imprese e trionfi, che solo chi li ha vissuti, porta nel cuore quell’inenarrabile emozione che di tanto in tanto riaffiora e ti spinge a ricordarli .
Dilettanti
e professionisti a confronto.
La storia che mi appresto a narrarvi si svincola totalmente
da quella sfera calcistica che racchiude fama e notorietà. E’una storia che
viaggia dentro la storia. Per una volta è giusto raccontare dell’impresa di Davide , piuttosto che della grandezza
di Golia.
Ha un sapore magico, perché tuttavia deriva dalla
volontà di confrontarsi , mettersi in gioco con realtà più blasonate, dalle
quali apparentemente , secondo i pronostici, hai solo da imparare. Si parla
della piccola che per la prima volta si siede al tavolo delle grandi e con fare
umile si appresta a degustare piatti mai visti prima.
Però tutti lo sappiamo, la vita come lo sport manifestano durante il cammino , ostacoli e imprevisti. E’proprio quando , riesci ad affrontarli con la volontà di costruire, abbinando una giusta dose di determinazione e pragmatismo, che le difficoltà si trasformano in coraggio. Cosi le piccole storie diventano bellissime favole. La piccola dilettante si è accomodata al tavolo dei grandi professionisti e con la massima umiltà, ha voluto ricordar loro che si può sempre imparare tutto da tutti. Sopratutto quando si naviga in mare aperto e non basta un’ancora per tenere a galla le certezze.
Le storie romantiche che gravitano attorno al mondo del calcio, hanno sempre un sapore nostalgico per quel ricordo dolce e malinconico di chi le ha vissute. Se ci sei dentro, ti accorgi che le parole di chi racconta suonano alle tue orecchie come una grande impresa e non fanno altro che dissetare l’animo e la mente di meraviglia e grandiosità . La giusta dose di follia che alimenta in qualche modo “il gap” tra sogno e realtà , è l’ingrediente segreto per implementare la consapevolezza che l’impossibile tal volta , può diventare possibile. Che le piccole storie possono diventar grandi .
A Nord del Calcio.
Per entrare nel vivo di questa bellissima favola, bisogna spostarsi al settentrione. Un po’ più a nord del pianeta calcio e al confine con la storia. Siamo in Veneto , precisamente nella provincia di Treviso. Con curiosità, ci addentriamo , all’interno di una cittadina che vanta un profilo storico di rilevanza , considerata la posizione geografica strategica. Situata all’imboccatura della Valle del Piave , collegamento tra la pianura e l’area pre-alpina, la città di MONTEBELLUNA ha svolto un ruolo di fondamentale importanza nella fase produttiva, fin dagli albori della sua nascita. Città di frontiera, che faceva dell’artigianato ( in particolar modo nel secondo dopoguerra) il suo punto di forza tanto da diventare negli anni ’80 e ’90 una delle aree più ricche d’Europa , nonché capitale della calzatura sportiva. E forse allora non è poi così difficile intuire che tra questa città e il mondo dello sport sia sempre esistito un filo conduttore che li lega. Più in generale potremmo comunque pensare, che il Veneto in sé e per sé, conservi dal punto di vista storico-sportivo una cultura più raffinata rispetto al profilo di altre regioni. Non è un caso infatti che nel dicembre 2015 , in collaborazione con l’università di Verona , proprio qui a Montebelluna, nel museo di Scienza e Archeologia, si sia svolta un’importante mostra internazionale volta ad esaltare il complesso rapporto tra scienza e sport. Lo sport in Veneto rappresenta una base solida della società, una cultura affermata a livello nazionale che ha contribuito nel tempo a dar voce ad uno sviluppo ed una diffusione mondiale. Se ci pensate bene, non è neppure un caso che le migliori realtà sportive siano appunto venete. Pensiamo albasket, con la Reyer Venezia ( 8 titoli nazionali) oppure al rugby con la Benetton Treviso (vincitrice di ben 15 scudetti ), o addirittura al calcio dove la regione è stata rappresentata negli anni da ben 6 società diverse nella massima serie: Chievo Verona, Hellas Verona, Padova ,Treviso, Venezia e Vicenza. Allora forse , dopo questo quadro,non impiegherete molto a capire perché da un po’ di anni a questa parte, anche i miracoli sportivi hanno deciso di abitare in questa terra.
Montebelluna calcio: un passato che vive nel presente.
C’è bisogno del passato per vivere il presente e pensare al futuro. Proprio così, il profilo storico ha sempre un impatto rilevante nel cammino e nel successo che verrà. Si parte dal vissuto per costruire un tempo attuale che abbia fondamenta solide. Ma sembra ormai una rarità, in questa epoca contemporanea, pensare che modestia e perseveranza siano di fatto le componenti fondamentali per affrontare certi tipi di sfide e confronti. Colpa dei media e più in generale , di una modernità che corre veloce e imbocca scorciatoie , senza lasciar spazio ai sani valori di principio. E’ quando però decidi di seguire le strade più tortuose e piene di insidie , che il paesaggio allora, si apre agli occhi come non lo hai mai visto.
La storia del Montebelluna calcio, non è una storia come le altre. Per il semplice fatto che la società coltiva un’importante tradizione calcistica in Veneto sia dal punto di vista storico, che da quello giovanile. Si parla infatti di uno dei vivai dilettantistici più fiorenti sia in regione che nel palcoscenico nazionale. Da ormai svariati anni , la società prende parte con le squadre del proprio settore giovanile (allievi, giovanissimi) alle finali italiane dilettanti. Sono ben sette gli scudetti tricolori cuciti sulle maglie del settore giovanile bianco celeste dal 1975 . Frutto di un lavoro e di un’intensa dedizione che hanno portato ad importanti risultati sia sul campo che nei singoli. Ogni anno infatti sono svariati i giovani talenti che partono dal “monte” per raggiungere i grandi club nazionali. E se il buongiorno si vede dal mattino, verrebbe da pensare che non tutti i miracoli allora avvengono per caso. Perché semplicemente, in storie come questa, vi è racchiusa una celata volontà di incontrarli.
Stagione 2007/08, dai dilettati agli Allievi Nazionali: La favola dell’annata ’91.
Ricordo perfettamente, da ragazzo, quella forte sensazione di curiosità mista ad euforia . Per svariate estati l’ho respirata sotto il sole cocente di Luglio ,mentre attendevo impaziente notizie di calciomercato, novità sui campionati o più semplicemente quel colpo di scena che spesso arrivava quando eri impegnato a fare tutt’altro. Del resto trovo che non ci sia citazione più azzeccata di quella del celebre filosofo e scrittore tedesco Gotthold Lessing :
“L ‘attesa del piacere è essa stessa il piacere”.
Nel frattempo l’oggetto sferico ovviamente continuava ad esser il mio miglior amico anche nei lidi balneari e se avessi potuto lo avrei portato perfino sotto le coperte. Fantasticavo e sognavo, come tutti i giovani atleti, su ciò che sarebbe stato, cosa mi avrebbe atteso e soprattutto quali novità avrebbero avviato ed accompagnato il nuovo anno. E’da queste breve parentesi e riflessione, che voglio partire per raccontarvi la favola dei ragazzi del Montebelluna.
Correva la calda estate
del 2007. I campionati erano già andati in ferie lasciando spazio a spiagge
assolate, mare e trekking sulle Alpi. Cosi mentre gli atleti, respiravano una
boccata di libertà, dalla quotidianità e gli impegni settimanali , gli addetti
ai lavori a piccoli passi preparavano la stagione successiva.
Non era mai accaduto, e probabilmente non si ripeterà, dopo che a seguito di quella stagione, alcune società blasonate di livello professionistico hanno esposto vigenti lamentele al Comitato sportivo Nazionale. Furono portate in questione presunte figuracce legate ai risultati, che in un certo senso , a detta loro, ne avrebbero compromesso l’immagine. Se però rovesciamo la medaglia dall’altro lato, più che figuracce e demeriti, si potrebbe bensì parlare di umiltà e merito da parte delle giovani dilettanti. Molte di queste, hanno saputo inserirsi egregiamente in un campionato , a loro del tutto sconosciuto e molto impegnativo, senza che le differenze ,di fatto si facessero notare fin troppo. Ben poche invece e forse il solo MONTEBELLUNA CALCIO è riuscito nell’impresa di scrivere una delle più belle pagine del calcio giovanile dilettante.
Una
stagione da incorniciare.
Da quando ci siamo incuriositi di questa bellissima pagina calcistica, abbiamo deciso per una volta di lasciare da parte il calcio che conta . Siamo voluti andare fino in fondo ad un capolavoro che non è passato inosservato ma che sicuramente non tutti ricordano. Quello che è certo , è che, chi l’ha vissuta ancora oggi la ricorda con una miriade di emozioni nel cuore e un sorriso nostalgico stampato sulle labbra. Perché dopotutto quando ti affacci dal balcone delle grandi imprese, ne esci consapevole che ogni momento lasciato alle spalle, diventa incredibilmente un pezzo di storia . Qualcosa di cui vale la pena sedersi e raccontare. Quale miglior modo, se non quello di passare proprio attraverso le parole di alcuni dei protagonisti che hanno cavalcato l’entusiasmo di quella stagione ?
Le interviste: Il mister,Carlo Osellame.
Cosi abbiamo deciso di entrare a colloquio con il mister Carlo Osellame, cittadino montebellunese ed ex centrocampista in serie A con la maglia del Cagliari dal 1979 al 1982 dove collezionò 75 presenze e 5 reti . Osellame passò poi nella stagione 1982-1983 alle file dell’Atalanta, con la quale giocò sei partite in Serie B , prima di essere ceduto nella sessione autunnale del calciomercato al Modena in C1. Dall’Ottobre del 1982 al Giugno del 1984 militò quindi con i modenesi, dove siglò due reti in 57 incontri, prima di tornare nella sua squadra originaria, il Montebelluna. Attualmente responsabile scouting di quest’ultima, dopo varie esperienze da allenatore , sia nei dilettanti che nei professionisti. Dallo Schio in serie D ,agli allievi nazionali del Cagliari fino alla Primavera del Treviso . Senza ovviamente tralasciare le giovanili del Monte con le quali ha vinto ben 3 titoli italiani nelle categorie allievi e giovanissimi.
Buongiorno
mister , quando si ricordano imprese e scalate come la vostra fa sempre un
certo effetto , emotivamente parlando. Stagione 2007/08 lei è alla guida degli
allievi del Montebelluna calcio ,che si prepara ad affrontare il campionato
nazionale professionisti. All’inizio di quella stagione quali erano le sue
aspettative e quelle della società , per quel tipo di campionato ?
”
Essendo
una squadra dilettante e giocando per la prima volta con i professionisti, ci
eravamo prefissati di fare un campionato dignitoso. E’ logico pensare che loro
avrebbero dovuto avere qualcosa in più di noi. Ma partita dopo partita con
l’arrivo di alcuni importanti risultati , abbiamo preso fiducia e abbiamo dimostrato
di giocarcela alla pari , raggiungendo il secondo posto a fine stagione e
coronando un sogno per i ragazzi e la società.”
Avrebbe
mai pensato di raggiungere le finali nazionali a cospetto di realtà
professionistiche più blasonate?
“No, Assolutamente. Le ripeto, per noi fare un
campionato dignitoso, significava puntare ad un piazzamento da metà classifica
in giù , evitando figuracce e soprattutto l’ultima posizione del girone”
Il
vostro gruppo era formato interamente da ragazzi del mondo dilettante, pensa
che questo possa aver in qualche modo, influenzato il cammino del vostro
campionato , soprattutto ai fini della classifica ?
”
Il
gruppo era formato totalmente da ragazzi cresciuti nel nostro settore giovanile
, questo a testimonianza del buon lavoro che, con i giovani, ogni anno la
società svolge. Essendo tuttavia un campionato allievi, non vi erano fenomeni.
C’erano delle squadre dove si distingueva naturalmente qualche buon giocatore,
come del resto anche noi avevamo. Però, ecco, glielo dico in tutta onestà ,noi non abbiamo
mai avuto timore di nessuno. ”
Al
suo arrivo, quali valori ha cercato di trasmettere allo spogliatoio al fine di
un gruppo più coeso?
Niente, ho sempre detto ai ragazzi di giocare con tranquillità senza mai aver timore di nessuno. Ognuno doveva dare un contributo alla squadra, giocando al massimo delle sue possibilità. Se poi l’avversario si dimostrava più forte , eravamo pronti a dargli la mano. Tutto là il discorso.
Aveva
un modulo di preferenza, che maggiormente adottava e per il quale , secondo lei
,la squadra girava meglio?
Indipendentemente dall’avversario che avevo di
fronte , che fosse la squadra di serie A o serie C,non cambiava niente e
giocavo sempre con il solito modulo. Adottavo un 4-3-1-2.
Ecco,
visto che adottava questo modulo, mi viene spontaneo chiederle , cosa ne pensa
della figura del trequartista?
E’in realtà un centrocampista aggiunto. Il centrocampista più avanzato dei tre,quello dotato di maggior fantasia. Figura che oggi è quasi del tutto scomparsa a causa dei numerosi tatticismi che vincolano il calcio moderno dove si predilige la fisicità.
Quante
volte a settimana vi allenavate e quale aspetto curava maggiormente nelle
sessioni settimanali?
Ci allenavamo 3 volte a settimana. Noi del
Montebelluna , la prima cosa che guardavamo in un giovane era l’aspetto
tecnico. Se sei più bravo tecnicamente, gestisci meglio la palla , soprattutto nel
possesso e fai correre gli avversari a vuoto. Quindi ribadisco la tecnica a
livello di settore giovanile era la componente fondamentale. La tattica poi
veniva di conseguenza.
Eravate
insieme a Sacilese e Montecchio Maggiore le nuove matricole del campionato.
Ricorda una gara o se c’è stato per voi un punto di svolta, che vi ha fatto capire di potervela giocare
con tutti?
Giocavamo partita per partita. Ricordo che il
Venezia aveva qualcosa in più come qualità di giocatori. Con l’Udinese, squadra
di serie A , per esempio abbiamo fatto 4 punti tra andata e ritorno espugnando
tra l’altro il campo in trasferta. Con
le altre , tra le quali Vicenza , Treviso ce la siamo sempre giocata alla pari,
se non addirittura superiori a loro. Questo testimonia che qualsiasi fosse la
caratura dell’avversario, per noi non cambiava niente. L’approccio alla gara
restava sempre il medesimo.
Ecco
mister , quello che avete compiuto di fatto resta un risultato storico, per
lei, il gruppo e la società . A nostra interpretazione si potrebbe definire
come “uno schiaffo” morale alle grandi realtà e più in generale al mondo
del professionismo.
Infatti dopo quell’annata là, non hanno più ammesso le squadre dilettanti con i professionisti. Non so bene per quale motivo, ma credo che le realtà professionistiche si siano lamentate rifiutando futuri nuovi confronti con il mondo dilettante. Dopo questa vigente protesta, infatti non abbiamo più giocato contro di loro . Evidentemente in quella stagione , gli abbiamo rovinato la festa…
Facendo
riferimento alla sua squadra ed esperienza, ritiene che il mondo dei
dilettanti, a livello giovanile, oggi
sia caratterizzato da un ‘approccio che dedica scarsa attenzione alle qualità
tecniche e psicologiche di ogni singolo atleta?
Oggi , in linea di massima , tutti giocano per vincere a cospetto del bel gioco naturalmente. Vi è si scarsa attenzione, anche perché , nelle scuole durante le ore di ginnastica/educazione fisica si tende a curare ben poco l’aspetto motorio che comprende la coordinazione dei movimenti. Come si può pensare che un ragazzo, che manifesta evidenti problematiche fisico-motorie riesca a raggiungere un buon livello tecnico?
Pensa
che manchi qualcosa al calcio giovanile attuale?
Beh credo che le cose stiano cambiando, perché nei
tempi odierni le società mettono a disposizione delle proprie squadre e quindi
dei propri ragazzi , allenatori , preparatori atletici e staff sempre più
qualificati , che hanno alle spalle corsi di formazione educativi. Nei primissimi anni da allenatore qui a
Montebelluna, ricordo che non esisteva tutto questo e di fatto mi basavo solo
ed esclusivamente sulla mia esperienza da giocatore , insegnando ai ragazzi
quello che da atleta io stesso riportavo sul campo.
Tornando
all’annata degli allievi nazionali, ricorda se per qualcuno dei suoi ragazzi
sono arrivate delle piccole soddisfazioni a fine stagione ?
Ci sono stati due/tre giocatori che hanno toccato la
serie C. Uno di questi , tra l’altro abbastanza quotato ha militato nelle file
di Cittadella ( primavera ) , Pordenone
Teramo e Alessandria, un certo Martignago. C’è stato un certo Falcier ,
che fu preso dall’Entella , difensore centrale , che a causa di un infortunio
abbastanza grave è stato poi costretto a lasciare il calcio. Oppure la punta
Samuel Sari che dopo quella stagione fu acquistato dal Rimini . Ecco questi
sono stati diciamo i principali trasferimenti verso il calcio professionistico,
in seguito a quell’annata.
Un
ultima domanda prima di lasciarci, è doverosa. Se oggi avesse davanti i ragazzi
di quell’incredibile stagione cosa vorrebbe dir loro?
Eheh , Ormai sono uomini, essendo dell’annata ’91 compiono ventinove anni quest’anno. Molti di loro avranno famiglia con dei figli. Malgrado tanti li abbia persi di vista,auguro a loro di avere una vita serena a fianco dei propri affetti. Se poi avete ancora la possibilità GIOCATE A CALCIO RAGAZZI ! Divertitevi !!
A colloquio con Riccardo Martignago.
Dopo aver parlato con il timoniere di quella fantastica annata,la nostra curiosità ci ha spinto ben oltre . Per questo abbiamo deciso di ascoltare anche la versione di chi ha vissuto l’esperienza in prima persona, proprio da atleta , nella rosa al servizio di mister Osellame. A questo proposito, abbiamo fatto due chiacchiere anche con Riccardo Martignago. Giovane classe ’91 ,cresciuto calcisticamente nel vivaio del Montebelluna, dopo la stagione degli allievi nazionali , ha visto aprirsi le porte del professionismo con il passaggio al Cittadella Primavera. Poi Pordenone, Teramo ed attualmente in forza all’Alessandria.
Stagione 2007/08 Riccardo Martignago , fai parte della rosa al
servizio di Mister Osellame che affronterà il campionato nazionale allievi
professionisti. Come avete vissuto tu e i tuoi compagni il clima preparazione
del pre-campionato ?
Per noi è stata probabilmente la stagione più
entusiasmante a Montebelluna. Quando ci hanno comunicato ufficialmente che
avremmo affrontato realtà professioniste a dire il vero eravamo tutti un po’
“spaesati”. Abituati a giocare con società di provincia, quindi molto
più piccole, il confronto con i professionisti era per noi una nuova sfida ,
nonché un’ ulteriore stimolo.
Tu
sei cresciuto calcisticamente nel Montebelluna, come del resto gran parte dei
tuoi compagni di quella stagione. Una società che oltretutto vanta un profilo
di spessore nel panorama dilettantistico italiano. Ecco, che effetto ti ha
fatto, emotivamente parlando, trovarti insieme ai compagni con i quali sei
cresciuto, a disputare un campionato
cosi importante a livello giovanile ?
All’inizio , come già ti ho detto eravamo tutti un po’ frastornati dall’idea. L’ossatura della squadra , costituita da ragazzi dilettanti , è rimasta invariata per anni quindi siamo arrivati all’inizio di quella stagione con un profilo molto umile, sotto questo punto di vista. Samuel Sari , mio carissimo amico, l’unico che veniva da Treviso, dal quale in un certo senso era stato scaricato. Quindi a fine stagione si è persino preso una bella rivincita.
Questa
domanda l’ho rivolta anche al mister . C’è stato secondo te una gara o un
momento che ha segnato un punto di svolta, dove avete capito che in realtà
potevate giocarvela con tutti?
Parlando
con il mister del modulo , mi ha detto che spesso prediligeva un 4-3-1-2 o in
alternativa un 4-3-3. Che ruolo ricoprivi e quanto ritieni sia stata
fondamentale la sua interpretazione nel corso della stagione ?
Nel primo caso giocavo da trequartista, mentre nel secondo venivo schierato nei tre davanti, più precisamente alto a sinistra. Al di là del ruolo però l’aspetto fondamentale di quell’anno è stato senza dubbio il gruppo. Lo zoccolo duro della rosa era formato da una cerchia di ragazzi che è cresciuta insieme calcisticamente parlando. Con le famiglie ricordo che spesso, a fine gara ci fermavamo a pranzo insieme. Si era instaurato un legame di amicizia così solido tra noi , che la squadra era diventata come una vera e propria famiglia allargata. Indubbiamente io devo tantissimo al calcio Montebelluna perché per quanto mi riguarda è stato il mio trampolino di lancio. La nostra era una realtà più confidenziale rispetto alle altre società del campionato. Per questo ribadisco, che non è tanto una questione di modulo , piuttosto coesione e un forte spirito di squadra hanno influito sul nostro cammino in maniera decisiva.
Se
hai ancora contatti con il mister e compagni , ti sarà capitato di ricordare
quei momenti. Ti è mai venuta un po’ di nostalgia?
Contatti… ne ho mantenuti con tantissimi ragazzi.
Sono particolarmente legato a Nicola Falcier, che era il capitano, con il quale
sono cresciuto fin dai primi calci. Lo stesso Samuel Sari,già menzionato
precedentemente che vive a Treviso e riesco a vedere. Te ne potrei dire altri ,
Marco Bressan , Johnny Zanatta e Marco Piazza . Abitiamo tutti più o meno
vicini e quando ci incontriamo , ci capita naturalmente di incentrare le nostre
conversazioni su quella stagione memorabile. E’ stata davvero una storia assurda
la nostra.
Quanti
dei tuoi ex- compagni, sono riusciti ad avere qualche soddisfazione dal calcio,
come del resto tu stai avendo ?
Dopo quella stagione siamo andati via dal vivaio io
e Samuel. Io al Cittadella e lui si accasò a Rimini , entrambi in prestito. E’
stata una scelta della società Montebelluna, non lasciare andar via molti
ragazzi, in prospettiva futura per la
prima squadra. La società militava in serie D, ha sempre fatto bene e per
questo teneva tanto al gruppo. Molti di noi avrebbero affrontato il campionato
Juniores per poi fare il salto di sopra.
Tornando
alla stagione, sarebbe corretto secondo te ,definire il vostro percorso come una sorta di schiaffo
al professionismo , alle realtà più blasonate e a tutti quelli che , ai nastri
di partenza vi avevano sottovalutato?
Inizialmente il timore di sfigurare era molto. Sopratutto temevamo che questa scelta riguardo il nuovo campionato, fosse dovuta in un certo senso a tappare dei buchi lasciati da altre società professioniste, che probabilmente avevano rinunciato ad iscriversi. Ovviamente poi non è stato così. Per noi è stata comunque una prova di carattere e di orgoglio. Seppur dilettanti , quando riesci ad avere la meglio sui professionisti in termini di risultato, acquisti consapevolezza sui propri mezzi e non li vedi più come dei marziani. Quando leggi sulle tute Udinese calcio o Treviso Football Club fa sempre un certo effetto, ed ancor più emozionante realizzare che stai prendendo parte al loro stesso campionato.
Al termine di una stagione che vi ha visto partire come matricola, per poi recitare un ruolo da protagonista, arriva un risultato del tutto inaspettato. Secondo posto e qualificazione alle fasi nazionali. Tra l’altro unica società dilettante sul panorama calcistico italiano, a disputarle. Vi aspettavate questo risultato e soprattutto sul piano delle emozioni, cosa ricordi?
E’stata una soddisfazione indescrivibile. Sebbene sul territorio, a livello dilettante, il Montebelluna rappresenti la società più importante, quella che ci veniva messa davanti in quella stagione, era una sfida che consisteva anche nella totale presa di fiducia dei nostri mezzi. Il Montebelluna calcio ha vinto tanto a livello dilettantistico ed è ormai società ben nota sul panorama nazionale. Da un lato quando ci hanno detto che prendevamo parte ad un nuovo campionato, alcuni di noi inizialmente l’hanno vissuta anche con un po’ di rammarico. Naturalmente dovuto all’occasione sfumata di prendere parte alle finali dilettanti. In sintesi ” Facciamo un campionato professionistico di livello, ma chissà con quali risultati“. Poi invece abbiamo capito di poterci stare, affrontando partita dopo partita a viso aperto e coronando una stagione pazzesca con la ciliegina delle finali.
Quanto ritieni sia stato importante il rapporto di amicizia e una maggiore coesione ai fini del risultato?
Tantissimo. Ti da quel qualcosa in più. Noi abbiamo vissuto quei momenti a pieno in un contesto di divertimento , ma il gruppo e lo spogliatoio erano per noi una seconda famiglia. L’uno a disposizione dell’altro, prima, dopo e durante. Alla fine dei giochi , è stato l’aspetto che ha fatto la differenza.
Arriviamo al capitolo finali nazionali. Il sorteggio vi ha messo davanti il Milan. Siete riusciti in un’altra grande impresa pareggiando la gara di andata davanti al vostro pubblico. Nella gara di ritorno, siete usciti sconfitti 4-0 salutando le finali. Comunque sia , avevate già oltrepassato le aspettative. Qualche rimpianto in merito?
No, loro avevano decisamente una squadra superiore. Ricordo che nella gara di andata , pareggiata 1-1, si respirava un’atmosfera incredibile. Il campo di casa era pieno di gente e sinceramente non mi era mai capitato di vedere cosi tanto pubblico. Già questo aspetto ci faceva comunque capire che avevamo fatto qualcosa di grande. Purtroppo nella gara di ritorno è venuta fuori la loro superiorità, e sicuramente le condizioni atmosferiche ci hanno un po’ complicato le cose. Pioggia incessante e noi che probabilmente siamo andati a giocare con un pizzico di timore, agitazione. Se si aggiunge anche qualche assenza pesante rimpiazzata dai classe’92 , si fa presto a capire che le chance di passare il turno erano del tutto limitate. Nessun rimpianto, fieri del traguardo raggiunto!
Vorrei farti un’ultima domanda Riccardo, prima di salutarci. Se oggi avessi davanti mister Osellame, cosa vorresti dirgli?
Devo solo ringraziarlo. Ha sempre avuto un enorme pazienza e dimostrato professionalità nel suo ruolo. Attraverso il suo modo di interpretare il calcio e tenere unito il gruppo è stato il primo a trasmetterci sicurezza e convinzione nei propri mezzi. Devo tanto anche alla società , che mi ha lanciato nei professionisti, dopo un percorso all’interno del quale sono maturato sia come giocatore che come uomo.
Le nuove tecnologie e l’allontanamento dal calcio di strada hanno portato il movimento italiano, su tutti, ad una mancanza di talento assoluto. E i recenti risultati confermano il trend negativo…
Ricordi
Porte improvvisate. Spesso fatte da maglioni o giacche lasciati cadere bruscamente sul terreno, senza minimamente curare l’eleganza del gesto.
A volte invece, era il portone di un vecchio garage abbandonato che si prendeva la piena libertà di “conservare” l’emozione di un goal, un istante dopo il fragoroso suono emesso dall’urto del pallone. Un campo senza righe, delimitato da muri, marciapiedi dove sostanzialmente non vi erano regole particolari e anche il famoso “rinterzo” diventava lecito e parte di ogni sfida.
E dai ricordi di pantaloni strappati, ginocchia sbucciate e conseguenti urla domestiche. Di palloni finiti sotto le automobili o, peggio ancora, da rincorrere per strade senza protezione alcuna.
Sono figlio di quella che, probabilmente, è l’ultima generazione del calcio di strada. Poi è giunta pian piano l’era dei computer, dei sempre più amati videogiochi che in qualche modo hanno privato i giovani di uno stretto rapporto con la realtà.
Dopotutto, sono fiero di aver goduto di quelle abrasioni sull’asfalto, dei TANGO anche fuori dai lidi balneari e soprattutto di un’infanzia piena di memorabili ricordi.
Il calcio di strada nel mondo
Di fatto la potenza del calcio passa e comincia da lì. Dalla strada e dal cemento, dove la passione incontra la spontaneità dei gesti, dove anche l’ingegno e l’astuzia si rivelano fondamentali per entrare nella lista dei vincenti.
Dall’ altro lato si apprende il vero significato della parola rispetto. La correttezza e l’onestà con l’avversario sono due di quei valori che provengono proprio dalla strada e non possono essere ignorati. Il calcio di strada è il calcio di tutti, il calcio per tutti. E tanti campioni, piccoli o grandi, sono cresciuti proprio qui. In tutta la parte latina del Sud America lo chiamanoFutbol Callejero, in Brasile invece è più comunemente conosciuto comeFutebol de Rua o Futebol Molequeche tradotto significa calcio fanciullo.
Molti dei grandi talenti del calcio provengono e sono nati con il calcio di strada, basti pensare ai variMaradona , Messi, Ronaldo e Romario. Prendendo a calci un pallone fatto di stracci, o una semplice lattina. Si gioca in spazi ristretti e il solo modo per evitare il contatto con l’avversario resta quello di implementare le proprie doti tecnico-balistiche.
Tuttavia il calcio di strada è stata per molti una via di fuga dalla delinquenza, un’ancora di salvezza da un mondo buio e pieno di insidie. Con il passare degli anni in America latina il Futbol Callejero si è trasformato in un vero e proprio movimento, grazie anche all’argentino Fabiàn Ferraro che, in seguito alla perdita del fratello, ha deciso di renderlo un mezzo per educare i giovani e per sottrarre i ragazzi più sfortunati alla malavita.
“Il calcio di strada ti insegna il rispetto per l’avversario, l’importanza delle regole. Conosci persone e culture diverse e fai amicizia con ragazzi di tutto il mondo”
Un percorso lento ma costante che ha portato oggi alla nascita di una vera e propria rete di squadre in tutto il Sud America. Il Movimiento de Futbol Callejero è oggi presente in Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile, El Salvador, Ecuador, Costa Rica, Panama, Colombia e Perù.
“Dalla strada, per la strada la forza del dialogo attraverso il calcio.” F.F
Italia, dov’è finito il calcio di strada?
Mentre in Sud America e in generale nel mondo il calcio di strada resta ancora un’attività praticata dai giovani, il nostro paese con l’arrivo della modernizzazione ha quasi totalmente cancellato gli aspetti più sani della vita quotidiana.
Il dialogo, le relazioni, sono tutte facce di una medaglia che nei tempi odierni si nascondono dietro all’alta tecnologia: dai computer ai cellulari, passando attraverso i social e lasciando nel cuore di noi nostalgici nient’altro che un velo di rimpianto. Cosi anche nel mondo del football. Di fatto il calcio odierno ha subito uno stravolgimento rispetto a quello degli anni ’90 e i primi del 2000.
Si parla di un calcio votato al business, dove l’apparenza vale più dello spettacolo, dove l’amore e l’attaccamento alla maglia si arrendono davanti alle logiche del profitto e dell’arricchimento di pochi. Il calcio in Italia ha avuto un tracollo negli ultimi anni e fatica a ritrovarsi perché manca alla base l’aspetto più genuino di questo sport: il gusto del divertimento.
Una costante, per quanto concerne il calcio di strada. Molti regolamenti comunali, oggi, tendono a vietare la pratica del calcio in strada, a tutela della quiete pubblica. A rendere il tutto più desolante, però, c’è che i parchi cittadini, fino a qualche anno fa gremiti da bambini, oggi molto spesso risultano semivuoti. E anche quando vi sia malgrado qualche sprazzo di vitalità, sono sempre meno i palloni che rotolano sui prati.
A fronte di ciò, le scuole calcio rimangono l’ultimo baluardo del gioco popolare per eccellenza. E queste, fortunatamente, si sono strutturate negli anni, modernizzandosi e arricchendo le conoscenze teoriche latenti fino agli scorsi anni. Rovescio della medaglia, però, è che i ragazzi hanno perso quel pizzico di sana follia che veniva donata dal giocare ovunque ci fosse un pallone e uno spazio più o meno idoneo alla pratica. Meno brio, meno inventiva, meno fantasia.
Ad una generazione cresciuta col sogno di emulare le gesta di Ronaldo, Del Piero, Baggio nei cortili, nelle piazze o nelle semplici strade, corrisponde l’epoca attuale fatta di tablet, smartphone e, forse, genitori sin troppo premurosi. Che sia questo uno dei motivi, almeno in Italia, di una qualità calcistica così ridimensionata?
In attesa di un futuro migliore, lottiamo affinché i nostri figli non crescano incollati ad uno schermo, donando loro quel senso di libertà che noi per primi abbiamo inalato. Perché forse, in fondo, è quello che basta per non perdere la speranza.
Sono volati così 14 anni. Come un ragazzino che sfoglia le pagine di un album Panini e di tanto in tanto contempla le figurine mancanti. Nessun italiano si dimentica di quella lunga cavalcata che ci condusse alla notte di Berlino. Una notte nella quale tutti ci siamo sentiti ancora un po’ più italiani. Chi sul divano di casa, chi in un pub o in una pizzeria o chi addirittura davanti ai maxi schermi sotto le stelle. Ci eravamo abituati a sentire quei nomi pronunciati dalle inconfondibili voci di Fabio Caressa e Beppe Bergomi. Berlino ha rappresentato l’ultimo grande atto della nazionale azzurra, l’ultimo capitolo nella storia dei mondiali di una vera “corazzata” che, insieme a quella del 1982, ha scritto una delle più belle pagine del calcio tricolore.
The Gold Generation
Così. mentre eravamo impegnati a ricordare la magia di quella notte, il tempo scandiva il capolinea di ogni singolo atleta. Da Cannavaro a Zambrotta, da Grosso a Del Piero, la clessidra ormai già avviata lasciava chiaramente presagire il tramonto di un’era.
Potremmo definirla, come dicono gli inglesi, la “Gold Generation”, alludendo ad una ristretta cerchia di campioni che ha toccato la vetta proprio con la vittoria del mondiale 2006. Resteranno per sempre un bellissimo ricordo e forse magari un giorno avremo l’occasione di raccontarlo ai nostri figli, trasmettendo loro quel calore e quelle emozioni che ci hanno accompagnato durante la competizione.
Adesso c’è chi siede in panchina con un incarico da CT, chi ha intrapreso la carriera da opinionista, chi lavora come Ds e chi invece è riuscito a rinunciare al pallone solo pochi giorni fa, scoppiando in lacrime davanti ai tifosi che, per l’ennesima volta, hanno assistito all’addio di un altro incredibile pezzo di storia calcistica.
Il saluto di Daniele
Si, è il caso di Daniele De Rossi , che aveva scelto il Boca Juniors appena un anno fa e con cui era sotto contratto fino al prossimo 30 giugno. Ha deciso di abbandonare il calcio giocato per dedicare più tempo alla famiglia:
“E’ una scelta personale e relativa solo alla mia famiglia, con la quale voglio passare più tempo possibile. Sono triste perché avrei voluto giocare altri dieci anni, ma ho 36 anni e questo è il momento di dire basta per concentrarmi su altro. Se penso che non giocherò più mi sento male, ma sono contento di aver giocato tante partite importanti e di tutto quello che è successo nella mia vita“.
La decisione definitiva è arrivata durante le vacanze di Natale e a seguito di un lungo periodo di riflessione sul suo immediato futuro da giocatore, legato anche al cambio dei vertici della società gialloblu, con la partenza del DS Burdisso, grande amico e fautore del trasferimento. Una vita dedicata alla maglia della Roma con la quale ha raggiunto il secondo posto per presenze ufficiali, preceduto solo dal compagno e capitano Francesco Totti. E’ un’altra pedina che se ne va. L’ennesima di quella storica nazionale.
L’ultimo eroe
Sebbene la nazionale l’abbia lasciata in quel 13 novembre 2018 con tanto amaro in bocca per quello spareggio mondiale perso contro la Svezia, oggi Gigi Buffon resta l’ultimo “superstite” della notte di Berlino 2006. L’ultimo grande campione.
Ne diventa ben presto titolare sotto l’era Dino Zoff, che lo promuove nel corso della stagione 1998-1999. Comincia la scalata e il 14 novembre 2009 tocca quota 100 presenze in nazionale, quarto giocatore italiano preceduto solo da Zoff, Maldini e Cannavaro. Nel 2013 eguaglia e supera le 136 presenze di quest’ultimo diventando il calciatore con più presenze in nazionale. Nel 2014 prende parte al suo quinto mondiale, eguagliando il record di Lothar Matthaus, mentre nel settembre 2015 raggiunge quota 150 presenze in maglia azzurra. Una carriera sempre in crescendo, che ha toccato il suo apice con la vittoria del mondiale tedesco. Nonostante ciò, l’ultima immagine dell’inenarrabile avventura in maglia azzurra di Buffon, alla quale ha portato rispetto, talento, esperienza, onore, vittorie, non è tra i pali o in lacrime a fine partita, non è neppure nel bacio alla Coppa del Mondo 2006, ma schierato in mezzo ai suoi compagni, durante l’inno della Svezia, ad applaudire a testa bassa, tentando invano di coprire i fischi assordanti di San Siro.
Dopo l’avventura al PSG è tornato alla sua Juve, alla società che lo ha visto arrivare ragazzo, crescere, spogliarsi della sua adolescenza per diventare uomo. Ne ha fatta di strada Gigi ed eccolo qua ancora in piedi, con le chiavi di quella porta che per anni ha difeso con tenacia ed un briciolo di follia. Perché si sa, alla fine per fare il portiere bisogna essere un po’ pazzi. E quel ruolo lo ha onorato in tutto e per tutto fino all’ultima goccia di sudore. Sta continuando a farlo anche oggi, malgrado abbia lasciato la maglia da titolare ad un giovane polacco di nome Szczęsny. Mentre il mondo attende di sapere chi sarà l’erede di Gigi, è doveroso ringraziarlo come avrebbe fatto qualsiasi amante romantico del calcio:
“Grazie Gigi. Un immenso grazie. Perché in fondo , non hai mai smesso di ricordarci: chi eravamo, chi siamo stati o forse chi dovremmo essere.”
Se c’è una tradizione che ci accompagna fin dalla nostra adolescenza, questa è la partita di calcetto. Rituali che si ripetono ogni volta sempre con la stessa cadenza e sfide che si rinnovano con sempre maggiore spirito di rivincita o di supremazia.
Il calcetto è uno di quegli sport dove quando perdi sei convinto che se la rigiochi subito la vinci. Non c’è mai (o quasi mai) una vera ammissione di arrendevolezza. Nelle dinamiche che portano a giocare la partita il copione è sempre lo stesso: ci sono i due capitani che solitamente sono i due “occulti” antagonisti e che fanno le convocazioni. Apparentemente si tratta di partite tra amici ma in realtà è la classica situazione dove si diverte solo chi vince mentre chi perde è soggetto agli sfottò fino alla prossima occasione. E’ un gioco che non ha età e che coinvolge un po’ tutte le generazioni.
Io e Bruno Alecs ci siamo conosciuti poichè entrambi abbiamo la passione della scrittura e del calcio. Una serie di circostanze ci hanno fatto incontrare ed anche se nessuno dei due lo dice è convinto di saperne più dell’altro. Ci sembrava perciò doveroso chiudere il 2019, emancipando ancora di più la nostra amicizia, organizzando la classica partita di calcetto di fine anno. Nel fare le convocazioni ci siamo dati una regola semplice ad entrambi ovvero: chiamare quei calciatori (in attività o meno) in linea però con il nostro modo di interpretare il calcio.
Una chiave nostalgica ,per me , Robert, che riporta sul rettangolo e interpreta pienamente i valori di un calcio nostalgico. Un calcio totalmente opposto ai tempi odierni dove i giocatori indossano e si fanno portatori dei valori sani del futbol: attaccamento alla maglia , voglia di far divertire. Dove anche i fuori classe si chiamano ancora fantasisti e non brand. Un calcio libero e non vincolato dai troppi tatticismi che come oggi ne soffocano la magia .
Una sorta di B-side per Bruno, che ha sempre avuto a cuore le storie più difficili, di quelli che non sono delle stelle ma convivono con le stelle senza averne nè la classe nè la capacità innata di emularle se non per una sera e per puro caso. Magari succede proprio in questa partita.
I CONVOCATI:
In Porta Bruno Alecs: Mirante – Gli affido tranquillamente la porta. I 3 metri di larghezza ed i 2 di altezza non gli possono fare paura è troppo esperto e concentrato. La sua convocazione è un premio alla carriera di un onesto mestierante dei pali che in modo del tutto silente è riuscito oggi a far si che non solo mi accorgessi di lui ma addirittura mi accorgo di volergli bene. Basterebbe ripetere in questa partita le buone prestazioni che sta facendo alla Roma per puntare seriamente ad avere un’ottima solidità difensiva. E’ il classico esempio di come l’umiltà ed il mantenere un basso profilo sono atteggiamenti che pagano. Sei dei nostri.
Robert Billy: Gianluca Pagliuca – quel bacio di Pasadena nella finale del mondiale 1994 resta uno dei gesti idillici del calcio difficili da dimenticare. Un simbolo di quell’edizione, un gesto di devozione a chi in quell’istante ha evitato che il sogno sfumasse fin troppo presto. La sua convocazione è un omaggio alla sua carriera, un premio a chi è riuscito a farmi ricordare che anche tra i pali si può essere eterni romantici. A lui affido le chiavi della porta di questa squadra.
Un difensore puro per parte
Bruno Alecs: Josè Luis Palomino a quasi 30 anni comincia a farsi notare. Quasi del tutto anonimo nelle passate esperienze europee di Metz e Ludogoretz, il difensore argentino sta contribuendo a scrivere la Storia dell’Atalanta e forse gli rimane qualcosa anche per sé. Gioca sempre ad alta intensità, cerca l’anticipo, bravo nell’uno contro uno ed ha un piede educatissimo. Tutto ciò che serve per ambientarsi bene nel campetto piccolo e ribaltare l’azione da difensiva ad offensiva nella frenesia del calcio a 5! Con i suoi interventi decisi ma non cattivi (chiedere ad Aguero e Gabriel Jesus) mi assicura anche una tenuta disciplinare tranquilla e perciò decido di puntare molto su di lui. Sottovalutato.
Robert Billy:Paolo Maldini – nelle pedine della difesa , non poteva mancare il Paolone nazionale. Personalità, grinta ed eleganza si fondono in uno dei difensori più incredibili della storia del calcio mondiale. Detiene tuttavia il record di presenze in nazionale,della quale per svariati anni ne ha assunto il ruolo di capitano. In lui è riposta la mia fiducia per la guida del reparto difensivo , incredibile colonna nostalgica del calcio italiano.
Spazio a polmoni e fantasia:
Bruno Alecs: Stig Tofting – ovvero una clamorosa aggiunta di stamina e di carattere per non trovarsi impreparati nel caso che si accenda qualche mischia. Forse il motivo del suo temperamento da duro in campo è riconducibile allo shock con cui convive da quando perse entrambe i genitori. La corsa felice verso casa per comunicargli che il giorno dopo esordiva con l’Aarhus nella finale di coppa danese. La macabra scoperta dell’omicidio- suicidio. Il padre poco prima aveva ucciso la moglie prima di suicidarsi. Il giorno dopo gioca. Vincono la finale e lui è il migliore in campo. Stig trova proprio nel calcio la forza per andare avanti, di circoscrivere quella rabbia che sembra sempre accompagnarlo durante le tappe della sua carriera. Tutto grinta e polmoni mi sembra l’uomo giusto per dare equilibrio alla mia squadra. E, dove non arriva la tecnica, sono sicuro che farà sentire il suo peso e la sua faccia da bullo farà il resto. Fascia da capitano per lui e non solo per l’età.
Robert Billy: Edgar Davids – Soprannominato “il Pitbull” per il suo agonismo e l’aggressività mostrata in campo. Nasce in Suriname ( ex colonia olandese), poi si trasferirà con la famiglia a nord di Amsterdam. Come i vari Seedorf , Kluivert sceglierà di far parte della nazionale dei tulipani con la quale collezionerà ben 74 presenze tra il 1994 e il 2005. Negli anni alla Juventus un glaucoma lo costringerà ad un operazione agli occhi. Costretto ad indossare occhiali protettivi durante le gare che ne diverranno presto il suo simbolo distintivo rimarcando tuttavia il suo spirito da vero guerriero del centrocampo. Bruno Alecs: E’ la notte del 9 dicembre 2018 e Gonzalo “El Pity” Martinez ha appena realizzato il gol che vale la Coppa Libertadores per il River Plate nella controversa finale contro il Boca giocata in campo neutro a Madrid per i noti fatti cronaca accaduti a Buenos Aires. A 25 anni è nel pieno della sua maturità fisica e calcistica e mentre i club europei cominciano a pensare di investire su di lui, fa invece una scelta controcorrente accettando i dollari e la poca gloria della MLS Americana per la Franchigia di Atlanta. Abbina velocità, tecnica, visione di gioco e senso del gol. E’ la trasformazione in chiave moderna del classico enganche argentino che lega i reparti. Fa cose che pochi calciatori argentini della sua generazione riescono a fare. Si muove altresì benissimo nello stretto ed è dunque perfetto per caratteristiche e personalità per la mia squadra di calcetto.
Robert Billy: Francesco “Ciccio” Cozza – giocatore amato/odiato dal pubblico. E’ una bandiera nostalgica della reggina, essendo stato il protagonista degli anni più belli, della storia della società calabrese. Un giocatore ,caratterialmente parlando, un po’controverso che ha amato i colori amaranto fin da sempre. Il Granillo lo ha visto esordire, partire e poi ritornare. Per far risorgere la sua Reggina naturalmente, quando le cose non andavano del tutto bene. Le due incredibili magie, la prima alla “Del Piero“siglata al Brescia e la seconda a Torino, nella giornata dello storico accesso tra i maghi del pallone italiano. Caro Ciccio Benvenuto in rosa!
Bruno Alecs: German Denis detto “El Tanque” è l’uomo giusto che porta in dote una valanga di gol. Se è vero che nel gioco del calcetto si stravolgono le logiche del più forte rispetto al calcio a 11, i movimenti sgraziati e concreti di German mi danno garanzia di massimizzare la mole del gioco d’attacco. Da lui mi aspetto che riesca a fare tutto quello che il classico campione del gioco a 11 non riesce a fare su un campo a 5. Compresi i tiri di punta dritto per dritto che a questo gioco sono un fondamentale micidiale. A 38 anni segna ancora grappoli di gol nella nostra serie C, dove è il terminale d’attacco di una Reggina che insieme a Barcellona e Liverpool rimangono sorprendentemente imbattute in Europa . Porta esperienza, fisico e soprattutto mi ha promesso una scorta di alfajores argentini al duce de leche. Top.
Robert Billy:Stefan Schwoch -Di origini tedesco- polacche da parte di padre , come di fatto testimonia il cognome. Bandiera del Vicenza , se sei un vero nostalgico non puoi dimenticarti di lui. Fiuto del gol e tempismo lo rendono un vero e proprio “falco da area di rigore”. Anche lui merita un posto nella lista dei convocati!
Bruno Alecs: Mario Balotelli ha tutto per sfondare nel calcio a 5. Ha carisma, sfrontatezza e tende a bullizzare i suoi avversari, proprio quello che ci vuole contro la corazzata di Robert Billy. A neanche 30 anni Super Mario ha già avuto diverse esperienze e svariate etichette. E’ partito dall’Inter quando era considerato un Enfant Prodige del nostro calcio fino ad arrivare alla normalità della provincia italiana in quel di Brescia, passando anche dall’essere un eroe nazionale quando affondava la Germania ad Euro 2012 . Ma niente è normale per Mario Balotelli. Una carriera passata a cercare se stesso e lampi di eleganza calcistica che ogni tanto ne hanno alimentato il mito. Non ha mai dato l’idea di lavorare sodo, anzi piuttosto l’idea che ci ha trasmesso è quella di aver lasciato inespresso gran parte del suo talento. Lo convoco perché in serate come questa so che ci farà divertire sia dentro che fuori dal campo.
Robert Billy: Domenico “Mimmo”Morfeo – talento e classe cristallina lo rendono un giocatore estremamente imprevedibile, uno di quelli che vorresti sempre avere in squadra perché uno come Mimmo le partite le risolve da solo, anche se si tratta di una gara di calcio a 5. . Piedino fatato , sterzate improvvise e lampi di genio. Il classico trequartista che ai tempi odierni non si vede più. Uno di quei giocatori che imprescindibilmente non può concepire un calcio vincolato da schemi e ingabbiato da tatticismi. Con lui si gioca per divertirsi e far divertire, per il gusto estetico di interpretarlo attraverso la piena libertà di espressione . Passione , fantasia e poi ancora passione. Benvenuto in rosa Mimmo.
In realtà, anche se nessuno lo ammette, questa partita è una sorta di resa dei conti. Il vincitore potrà vantarsi di aver un occhio ed un’ interpretazione clinica impeccabile nella lettura delle caratteristiche di coloro che solitamente ci affascinano come calciatori professionisti.
Per una volta questi atleti saranno con noi, anzi saranno la nostra ideologia calcistica applicata ad un campo di calcio a 5. La difficoltà è proprio contestualizzare un giocatore di calcio alle diverse soluzioni tecniche e tattiche ridotte degli schemi a 5. Tradotto in italiano vuol dire che non sempre chi è un campione in una disciplina lo è necessariamente in una diversa benché molto simile.